Brexit: italiani in UK, salvi i diritti

Brexit: italiani in UK, salvi i diritti

Grazie al deputato Alberto Costa

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Nel caos della Brexit (Ci sarà? Non ci sarà? che forma mai avrà?) una buona notizia per gli italiani e per gli altri europei residenti in UK: avranno tutti i loro diritti garantiti anche se l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea dovesse avvenire senza un accordo con Bruxelles.

A metterli al riparo da un catastrofico “No Deal” è stato un emendamento presentato dal deputato conservatore di origine italiana Alberto Costa e fatto proprio il 27 febbraio dal parlamento britannico con il beneplacito del governo.

DSC_10049 a (2)Costa è stato costretto a dimettersi dalla carica di “Parlamentary Private Secretary” per la Scozia (una specie di sottosegretario) pur di poter presentare l’emendamento e anche per questo va senz’altro applaudito.

Per il resto sia a Downing Street che a Westminster il marasma sulla Brexit continua imperrito. E che fai quando non sai più che pesci pigliare? In inglese c’è un’espressione molto calzante: you kick the can down the road. Per Theresa May il barattolo da spingere a calci giù dalla strada è proprio la famigerata Brexit. Non riesce a farsi approvare dal parlamento l’accordo di divorzio con l’Unione Europea da lei negoziato? Continua a prendere tempo. Ha voluto una legge per sancire ufficialmente che il Regno Unito uscirà dall’Ue quando il Big Ben il 29 marzo prossimo suonerà le 23? Ebbene, neppure questa piccola pietra miliare è più sicura e tutto indica che si va ad un rinvio.

Theresa May si è autodefinita “a bloody difficult woman”, una donna terribilmente difficile, e una soluzione sulla Brexit e’ diventata “bloody difficult” dopo che a gennaio la Camera dei Comuni ha bocciato con uno spettacolare scarto di ben 230 voti l’accordo di divorzio con Bruxelles. Una sconfitta davvero umiliante ma la “stubborn lady” non si da’ per vinta e il futuro dirà se la sua testardaggine è un vizio o una virtu’.

Davanti al progressivo sgretolarsi della sua fragile maggioranza la premier ha comunque fatto il 26 febbraio una vistosa (ennesima) ritirata tattica: non ha smesso di insistere per l’approvazione parlamentare dell’accordo – inviso ai fautori della Brexit dura per il controverso “backstop” e cioè perché’ mantiene il Regno Unito nell’unione doganale europea in attesa che in un imprecisato futuro si trovi un modo per controllare la frontiera tra le due Irlande senza bisogno di barriere materiali – ed è decisa per metterlo di nuovo ai voti il 12 marzo.

In caso di una nuova bocciatura (l’ipotesi più probabile ma non è detto) chiederà il giorno dopo ai Comuni di votare sull’ipotesi di una catastrofica uscita dall’Ue senza intesa (il temuto “No Deal”). Anche qui dovrebbe arrivare un secco no dei deputati che il 14 marzo saranno allora chiamati a pronunciarsi sull’opportunità di un “breve e limitato rinvio” della Brexit. La May lo vorrebbe non oltre la fine di giugno, altrimenti la Gran Bretagna si troverebbe nell’imbarazzante posizione di dover organizzare elezioni per il rinnovo del parlamento europeo. Ma a che cosa servono tre mesi di rinvio? Theresa May ci conta per rinegoziare la parte dell’accordo riguardante il “backstop” irlandese, l’UE ha però già detto e ridetto di non essere disposta a modifiche sostanziali. Non è chiaro nemmeno se con il voto del 13 marzo lo spettro del “No Deal” sarebbe o no definitivamente scongiurato. Con ogni probabilita’ la “bloody difficulty woman” spera che con questa rischiosa strategia riuscirà ad un certo punto a strappare il sì dei “brexiters” per il suo accordo che – ricordiamolo – definisce soltanto i termini del divorzio ma non quali saranno i rapporti commerciali con i Paesi UE. Vorrebbe metterli davanti ad un aut aut: o il mio accordo o niente Brexit.

Anche il leader laborista Jeremy Corbyn ha dato l’impressione di volersi barcamenare tra brexiters e remainers per l’unità del proprio partito ed ha evitato di prendere posizioni nette e inequivocabili fino a a metà di febbraio quando è stato abbandonato da un manipolo di nove deputati eurofili ed è corso ai ripari: eccolo adesso favorevole ad un secondo referendum sulla Brexit se il governo May non accetta almeno di mantenere il Regno Unito in una relazione stretta con l’Europa continentale ancorandolo all’unione doganale con l’UE. I giochi dunque sono tutt’altro che fatti e gli europei residenti in UK – rincuorati dall’emendamento di Alberto Costa – non hanno altro che da stare alla finestra e osservare il triste psicodramma di un Paese che si azzoppa da solo.

La Redazione