Questo articolo ha un carattere più che altro teorico e descrittivo, perché credo possa essere utile spiegare cosa si intende per gioco e il ruolo che questo ha nella vita dei bambini dai primi mesi fino ai3-4 anni. Nel prossimo articolo, cercherò di dare delle indicazioni più pratiche.
L’attività ludica accompagna il bambino durante tutta la sua crescita e, con ovvie modificazioni, prosegue durante preadolescenza, adolescenza e, addirittura in età adulta. In questo articolo, mi occuperò solo del ruolo del gioco nei primi anni di vita.
Il concetto di gioco viene spesso associato a qualcosa di allegro, divertente e spensierato, ma anche, spesso, di inutile e superficiale. In realtà, è ormai ampiamente dimostrata l’importanza dell’attività ludica sullo sviluppo dell’essere umano, non solo dal punto di vista intellettuale. Attraverso il gioco, il bambino si diverte e si intrattiene, ma anche sviluppa e allena le proprie abilità manuali, motorie e intellettive, apprende nuovi concetti, impara a socializzare e a rispettare le regole sociali. Giocando, fa esperienze nuove, sia con le persone che con gli oggetti, arricchisce la sua memoria, scopre cause ed effetti, aggiunge nuovi vocaboli al suo repertorio lessicale, ma non è tutto: quando l’attività giocosa si svolge in gruppo o in coppia, il bambino impara ad adattare il proprio comportamento agli altri, esce dal suo egocentrismo ed entra a far parte di un gruppo, iniziando ad apprendere la necessità di rispettare i turni e i tempi di gioco.
Il gioco cambia e si trasforma con l’evolvere dell’intelligenza e delle capacità del bambino e, al tempo stesso, stimola questa evoluzione. Alcuni studiosi sostengono che il bambino giochi prima ancora di nascere, quando si muove nell’utero materno, ma il gioco diventa “visibile” solo intorno ai due mesi dopo la nascita, quando nel neonato comincia a formarsi una vaga consapevolezza dell’esistenza di qualcosa fuori da sé, quando comincia a compiere dei piccoli movimenti che non sono più solo il frutto di riflessi e inizia a rispondere con il sorriso ai volti familiari. È il momento in cui il bambino inizia a stabilire una relazione con il suo oggetto d’amore, che solitamente è la madre; da questa relazione deriverà poi il rapporto con gli oggetti e le altre persone, rapporto tanto migliore quanto migliore sarà stata la suddetta prima relazione. La madre, quindi. È il primo compagno di gioco e, al tempo stesso, il primo giocattolo del bambino. In seguito, le possibilità e le modalità di gioco via via si ampliano come conseguenza dello sviluppo motorio che porta con sé nuove possibili posture, sempre più sostenute dal suo apparato scheletrico e dalla sua muscolatura, fino ad arrivare al movimento autonomo, prima con il gattonamento e poi con il cammino. Un altro importante contributo alla possibilità di ampliare la gamma delle attività ludiche arriva dal raffinarsi della sua manualità e della prensione, la comparsa e il progredire della coordinazione occhio-mano, … Al tempo stesso, però, le varie attività di gioco permettono al bambino di stimolare, esercitare ed ampliare queste nuove potenzialità. Egli esplora l’ambiente circostante e gioca spontaneamente con gli oggetti che incontra sul suo percorso, ricevendone stimoli sensoriali che verrannopoi elaborati dal suo cervello in concetti e categorie. L’adulto, in questo contesto, oltre a proteggere il bambino da eventuali pericoli (oggetti che potrebbe ingoiare o con i quali potrebbe ferirsi, cadute accidentali, ecc.), può arricchire il suo gioco aggiungendo descrizioni verbali, introducendo variazioni al gioco spontaneo del bambino o proponendo nuove e stimolanti attività.
Nuove forme di gioco diventeranno via via possibiliman mano che il bambino raggiunge le successive fasi del suo sviluppo. Ad esempio, quando, intorno al diciottesimo mese d’età, la sua intelligenza diventa anche rappresentativa, cioè gli permette di rappresentarsi anche dati ed elementi non presenti in quel momento, potrà iniziare ad imitare un’azione vista il giorno prima, solo sulla base del ricordo, senza dover avere davanti il modello. Grazie a queste nuove funzioni della sua mente, il suo gioco non si limiterà all’esplorazione e alla manipolazione e gli oggetti potranno assumere dei significati simbolici oltre che materiali: ad esempio, una scopa può diventare un cavallo, uno scatolone un forte o una casa, … Questo tipo di gioco, detto gioco simbolico, inizia a quest’età un’evoluzione che proseguirà per parecchi anni. Con la crescita del bambino, potrà diventare un’attività molto fantasiosa e creativa che si allargherà al gioco a coppie o in piccoli gruppi, possedendo, in questo caso, un’elementare “sceneggiatura“ e delle regole create dai partecipanti.
Questo sviluppo naturale delle modalità di gioco dei bambini va incoraggiato, sostenuto e alimentato dall’intervento, appropriato nei tempi e nei modi, da parte dell’adulto. Nel prossimo articolo vedremo più nel dettaglio come questo può avvenire.
Concludo quest’articolo rubando una po’ di spazio per una precisazione che mi preme fare. Sul numero cartaceo precedente, il mio articolo è uscito con un titolo scorretto, a causa di un disguido. Il titolo corretto è quello della versione online della rivista: “il rilassamento come terapia”. Ho ritenuto importante fare questa precisazione perché il titolo in questione, non farina del mio sacco, non solo è sbagliato ma può addirittura risultare fuorviante nel definire il rilassamento una “medicina”.