MATTARELLA BIS AL QUIRINALE

MATTARELLA BIS AL QUIRINALE

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I PARTITI NON GLI TROVANO UN SUCCESSORE

Dopo cinque giorni di sterili tira-e-molla, nell’imbarazzante incapacità di trovargli un successore condiviso, i leaders dei partiti hanno rieletto presidente della Repubblica quello uscente e così il 29 gennaio scorso, all’ottavo scrutinio, con 759 voti su un totale di 983, Sergio Mattarella è stato confermato al Quirinale per un secondo settennato.

   Non importa che negli ultimi mesi Mattarella   – siciliano, 80 anni compiuti il 23 luglio scorso  – avesse detto in tutti i modi no e poi no ad una sua rielezione giudicandola una forzatura anche sotto il profilo costituzionale e avesse avviato il trasloco affittando a Roma un appartamento vicino alla figlia. Lo stallo l’ha costretto ad accettare.

   Non in grado di avviare un negoziato degno di questo nome, più bravi a far propaganda che vera politica, i leaders dei partiti hanno bruciato almeno una dozzina di candidati veri e presunti (compresa la speaker del Senato Elisabetta Alberti Casellati) e dopo sette votazioni a vuoto si sono rassegnati al Mattarella bis, in nome di una merce molto cara ai mercati finanziari: la stabilità.

   Si è così ripetuta la “anomalia” del 20 aprile 2013 quando un altro presidente – Giorgio Napolitano – si ritrovò riconfermato perché’ anche allora non esisteva una maggioranza in grado di dargli un successore.

  Napolitano rimase in carica soltanto altri due anni. Non è chiaro (ma è probabile) che anche Mattarella faccia soltanto una parte del suo mandato.

   Si pensava che il bis di Giorgio Napolitano sarebbe rimasto un unicum nella storia repubblicana della Penisola ma politologi, giornalisti ed esperti di varia natura concordano: la classe politica italiana – di fatto commissariata dallo scorso febbraio quando su impulso di Mattarella fu creato un governo di unità nazionale guidato dal supertecnico Mario Draghi – ha mostrato tutta la sua fragilità,  inconsistenza e disfunzionalità dando così un’ulteriore cattiva prova di se’.

   In effetti gli ostacoli nella successione a Mattarella sono stati tanti, incominciando dal fatto che Draghi non ha nascosto l’ambizione di passare da Palazzo Chigi (la sede del premier) al Quirinale. I partiti della maggioranza l’avrebbero anche assecondato se non fosse che non è stata individuata un’altra personalità in grado di prendere il suo posto alla guida di un governo supportato da forze estremamente eterogenee e di arrivare fino a fine legislatura e cioè alla primavera 2023 rispettando il pesante ruolini di marcia necessario per avere i duecento miliardi di euro promessi dall’Europa.

  Le forze di centro-destra hanno aggrovigliato ulteriormente la matassa pretendendo di imporre un proprio candidato malgrado non avessero i numeri e proponendo all’inizio una figura tuttora molto divisiva e controversa e cioè l’ex-premier Silvio Berlusconi. A girare a vuoto e a confondere le acque, dando l’impressione di giocare una partita a poker senza un minimo di strategia, è stato in particolare il leader della Lega Matteo Salvini che ha preteso di fare la “king maker”, non si capisce bene per quali virtu’, e alla fine ha dovuto anche lui convergere su Mattarella.

     Aggiungendo ipocrisia all’incapacità, tutti i leaders – con l’eccezione di Giorgia Meloni, leader del partito “ post-fascista” “Fratelli d’Italia, ribattezzata “la ducetta” dai più ridanciani media italiani – si sono tutti arrogati il merito di aver confermato Mattarella. In teoria per sette anni ma è probabile – vista anche l’età – che dopo le elezioni parlamentari della primavera 2023 si vada alla scelta di un nuovo capo dello Stato, forse Draghi – il “salvatore dell’euro”, figura di spicco senza eguali in Italia per la sua magistrale attività quando era a capo della Banca Centrale Europea – se pero# nei prossimi mesi governerà senza troppo inimicarsi i partiti.

   Malgrado l’happy end  le elezioni presidenziali hanno dunque sconquassato non poco il quadro politico: all’interno della Lega l’erratico Salvini ha creato parecchio sconcerto e la sua leadership sembra traballare. Il Movimento Cinque Stelle, la forza creata dal comico genovese Beppe Grillo e al centro già di colossali defezioni, è uscita spaccata in due, con i seguaci del ministro degli Esteri Luigi di Maio in rotta di collisione con le truppe dell’ex-premier Giuseppe Conti.  Per il  leader  del Partito democratico Enrico Letta vale la massima che chi non fa nulla non sbaglia. Non ha proposto alcun candidato, non ne ha sostenuto alcuno in alleanza con altre forze e alla fine si è gioiosamente battuto per la riconferma di Mattarella.

La Redazione