PARTITA DEI VACCINI : UK 1, EUROPA 0 (A FINE PRIMO TEMPO…)

PARTITA DEI VACCINI : UK 1, EUROPA 0 (A FINE PRIMO TEMPO…)

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  Si è inchinato persino il tabloid tedesco più diffuso e nazionalista, la Bild Zeitung: “We beneiden you!”, titolone mezzo in inglese e mezzo in tedesco, “Vi invidiamo”, “Ci fate invidia”. Il Sun impietoso ha risposto “Voi invece no”.

  Guerra dei vaccini a cavallo della tappa finale di Brexit. Quale migliore occasione per uno scontro in punta di penna? Schermaglie giornalistiche a parte, anche il neo Presidente del Consiglio Mario Draghi ha fatto indiretto riferimento al “modello inglese” di piano vaccinale. Nel discorso programmatico alle Camere ha promesso di imparare “da Paesi che si sono mossi più rapidamente di noi disponendo subito di quantità di vaccino adeguate”. Parole che puntano chiaramente verso il Regno Unito, paragonabile per popolazione con il nostro Paese. Se Israele o gli Emirati insomma fanno gara a sé, il confronto con i numeri delle vaccinazioni Oltremanica è quasi umiliante per l’Italia e gli altri Paesi europei. 

  Dopo il disastro di mesi vissuti tra incertezze e false partenze, che hanno portato il bilancio britannico delle vittime ad essere tra i peggiori al mondo, il governo Johnson ha infatti puntato tutto sui vaccini, unica strada per uscire dall’emergenza. I risultati li abbiamo sotto gli occhi anche noi Italiani d’Oltremanica. Vaccinati o meno, ma con una prospettiva chiara di uscita dal tunnel. 

   Uno sforzo imponente da parte del governo e delle autorità sanitarie. Prima per mantenere la promessa di 15 milioni di vaccinati entro metà febbraio. Poi man mano per confermare il programma di somministrare almeno la prima dose a tutti gli ultracinquantenni entro aprile e all’intera popolazione entro luglio. 

   Ma sarebbe ingenuo pensare che questi risultati siano stati solo conseguenza di un  improvviso colpo di reni della macchina organizzativa sanitaria britannica, oppure un frutto virtuoso della Brexit. Basta ricordare un episodio, finito anche sui giornali: nella primavera dell’anno scorso, mentre tutti cercavano disperatamente PPE, mascherine chirurgiche, guanti, bombole di ossigeno e altri strumenti per l’emergenza, il Deputy Chief Medical Officer del governo,  prof. Jonathan Van Tam, ripeteva ad ogni riunione del comitato Sage: “dobbiamo comprare frigoriferi”. Sarebbero serviti per vaccini che non esistevano ancora e che nessuno immaginava sarebbero stati sviluppati così velocemente. Programmazione dunque e scelte in anticipo. Questa la chiave del modello inglese. 

  Altro esempio: il coordinamento COG UK, per lo studio del genoma del virus e quindi delle varianti, è nato già ad aprile 2020, con un finanziamento di 20 milioni di sterline. Oggi collega quattro agenzie dell’NHS, una ventina di laboratori universitari e l’Istituto Sanger. Quasi la metà delle varianti del virus nel mondo sono state identificate nei centri di ricerca britannici, compresa quella famosa “inglese” che è tale solo perché rintracciata in Kent. Presente già l’anno scorso in altri Paesi, ma qui l’hanno cercata e trovata.

  Anche la questione dei contratti con le case farmaceutiche ha visto il Ministero della sanità britannico in vantaggio. La ricerca del vaccino di Oxford, prodotto da Astrazeneca, è stata ampiamente finanziata dal governo, che già nel maggio dell’anno scorso aveva sottoscritto un contratto per 100 milioni di dosi. Praticamente al buio, visto che nessuno poteva essere sicuro del successo del lavoro di laboratorio. Idem per le 40 milioni di dosi del vaccino Pfizer, o i 17 milioni di quello più costoso, dell’americana Moderna. 

  Brexit è stata un vantaggio per l’anticipo con cui l’Agenzia del farmaco britannica si è sfilata dai doveri comunitari per autorizzare i due primi prodotti (Pfizer e Astrazeneca)  con un  buon mese di anticipo rispetto all’agenzia europea EMA. La stessa Brexit ha forse spinto ad anticipare i tempi di spedizione e consegna. Dal primo gennaio infatti si temevano ritardi o lungaggini per i controlli doganali delle forniture dagli stabilimenti in Belgio. 

Ed ancora la riconversione degli spazi per centri vaccinali. Tutti abbiamo visto in tv le immagini della grande navata gotica della cattedrale di Salisbury,  dove al posto dei fedeli e dei pastori anglicani si muovono ora silenziosi medici e infermieri per somministrare più dosi possibili? Centri sportivi, padiglioni fieristici, farmacie e ambulatori: ogni location è utile. 

  Del “modello inglese” infine fa parte anche l’azzardo sull’uso di questi vaccini. La scelta di rinviare il più possibile la seconda dose e quella di somministrare Astrazeneca anche ai più anziani, sopra i 65 anni. Strategie controverse ma che man mano sono state accettate anche sul continente, main forte ritardo.

  Insomma la ricetta inglese non è nata per caso. Si fonda su pianificazione, flessibilità della macchina sanitaria e pubblica in generale. Con l’aggiunta di un pizzico di spregiudicatezza. Se conquesto indubbio successo Boris Johnson riuscirà a far passare in secondo piano l’ecatombe di vittime della pandemia e il difficile avvio della Brexit, avrà fatto Bingo. E ipotecato seriamente una tranquilla navigazione per il resto del suo primo mandato a Downing street. 

Marco Varvello