Violenza domestica al tempo del Covid

Violenza domestica al tempo del Covid

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Un inquietante fenomeno in aumento

La storia di Sarah Everard – rapita in un parco di Clapham e uccisa – ha scosso inevitabilmente non solo il Regno Unito, ma anche tutta Europa con l’aggravante che sotto accusa per il delitto e’ un poliziotto di un’unità d’elite. Forse è soltanto in questi ultimi giorni che ci stiamo rendendo conto di come, in certi casi, il virus non abbia bisogno di bussare alla porta ma si palesi nelle mani assassine di un marito, ex marito, compagno o ex compagno, persino di un uomo delle forze dell’ordine. 

   Sarah, come molte altre donne, è rimasta vittima di un altro morbo parimenti letale e globale chiamato violenza di genere.

   Sarah potevi essere tu che stai leggendo queste righe. Sarah potevo essere io che le sto scrivendo. La ragazza trentatreenne uccisa di rientro a casa pone nuovamente al centro numerosi interrogativi e suscita profonda indignazione per l’ennesima donna uccisa “in quanto donna”. Donna uccisa e decurtata di qualsiasi forma di libertà. Inclusa quella relativa alla possibilità di camminare a piedi dopo una serata con amici.

  Dove stiamo andando? Cos’è questo male che pervade l’odierna società? 

  Eppure, il sistema inglese si distingue da sempre per l’efficace capacità di arginare gli episodi di violenza di genere grazie al “Metodo Scotland”, ideato da Patricia Scotland, ex ministro della Giustizia e membro della Camera dei Lords.

Il segreto dell’efficacia della rete antiviolenza anglosassone, almeno fino ad oggi, è stata l’introduzione nel 2015, da parte del premier David Cameron, di un reato che nell’ordinamento italiano tarda ad essere previsto, ossia quello di “comportamento coercitivo e controllo invasivo”, che punisce con il carcere fino a 5 anni gli abusi psicologici ed emotivi estremi. Sulla scorta di un simile sistema, difatti, non è più richiesta la violenza fisica come condizione imprescindibile per punire i maltrattamenti da parte del partner o di altri membri della famiglia.

   La verità è che la pandemia ha avuto, quale effetto secondario, l’aggravamento degli episodi di violenza domestica. Difatti, la condivisione di spazi ristretti, il taglio dei contatti esterni e la convivenza obbligatoria con il partner violento incrementa le occasioni di controllo e limitazione della vittima. 

  Ad oggi le istituzioni, non solo europee ma anche del mondo, sembrano non tenere in debita considerazione un dato inquietante: accanto all’emergenza sanitaria è in atto una vera e propria emergenza familiare.

  Vi siete mai chiesti cosa può accadere se le proprie mura domestiche diventano peggio che Guantanamo? Come il Covid-19, anche la violenza di genere è epidemica, globale e letale.

È un morbo culturale capace di infettare luoghi, menti e corpi. Avete idea di che cosa significhi condividere 24 ore su 24 gli spazi familiari con il proprio maltrattante? Come si vive riducendo drasticamente i contatti con l’esterno e restando soli con se stessi?

  Verosimilmente, è quello che stanno passando mogli, compagne e conviventi che si trovano a dover affrontare quello che in gergo tecnico si è soliti definire “effetto week-end”, che si verifica ogni volta in cui il soggetto maltrattante ha più tempo per infierire sul proprio partner. Uno scenario apocalittico, non solo fuori, ma anche dentro. Lunghe prove di resistenza, fisica e mentale, che finiscono con il consegnare le donne nelle mani del proprio aguzzino.

  Una richiesta innocua, quella del restare a casa, che si trasforma in una prigione per chi proprio da quella abitazione vorrebbero fuggire. Come al solito piove sempre sul bagnato.

  Che cosa succederà in queste interminabili settimane di emergenza virus? E quali saranno le conseguenze nel lungo periodo? Quanto in questo momento storico è ancor più complicato denunciare? Quando tutto questo finirà, chi aiuterà quelle donne spinte in un baratro ancora più profondo, abusate nell’indifferenza di un Paese che si vede costretto a fronteggiare un’emergenza senza precedenti? 

   E voi, cosa state facendo per combattere questa battaglia? Anche certe donne si trovano costantemente in trincea, non dimentichiamolo.

Anna Vagli