Come dialogare con figli preadolescenti o adolescenti?

Come dialogare con figli preadolescenti o adolescenti?

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Cari genitori, chissà quante volte vi siete lamentati del fatto che i vostri figli o figlie, preadolescenti o adolescenti, non parlano con voi, se non per le essenziali “comunicazioni di servizio”, che non vi raccontano la loro giornata, non si aprono, non vi parlano dei loro amici. Rispondono a monosillabi, quando non addirittura a grugniti, alle vostre domande e la risposta più prolissa che possiate aspettarvi alla classica domanda: “Com’è andata a scuola?” è un frettoloso “Tutto bene”.

  Tutto questo è abbastanza caratteristico della loro età e non c’è da preoccuparsi. 

  Però, è possibile facilitare un po’ il dialogo, dando per primi l’esempio. Spesso, gli adulti non si rendono conto di sottovalutare alcune dinamiche, per niente scontate, nel rapporto con i loro figli.

  Per esempio, un aspetto della relazione genitori-figli a cui, a mio parere, non si dà sufficiente importanza è la dualità e la reciprocità di questa relazione. Si tratta di un rapporto che ha due poli (i genitori o il genitore da una parte e i figli dall’altra) che hanno uguale valore e capacità di interazione attiva all’interno della relazione. Non importa se i figli sono ancora piccoli, se sono i genitori che provvedono alle necessità economiche della famiglia, che decidono le regole fondamentali di comportamento; i figli sono comunque delle persone, con emozioni, sentimenti, opinioni e hanno il diritto di essere trattati come tali. Se fin da piccoli insegniamo loro, con il nostro esempio, a riconoscere ed esprimere le proprie emozioni, quando arriveranno alla complicata fase della preadolescenza e adolescenza, saranno un po’ meno restii ad aprirsi con i genitori.

 Tuttavia, sia che questi “semi” siano stati gettati prima o no, arrivati all’età probabilmente più difficile da gestire, qualcosa si può ancora fare, modificando il proprio comportamento.

 Ad esempio, molto spesso un genitore chiede al proprio figlio adolescente risposte dettagliate su dove è stato, con chi, cos’ha fatto nelle ore precedenti. Chiaramente, questa esigenza è dettata dal senso di responsabilità del genitore e dalla preoccupazione che il proprio figlio possa frequentare cattive compagnie, mettersi nei guai o correre pericoli. È assolutamente giusto che i genitori facciano tutto il possibile per garantire la sicurezza dei propri figli, specialmente quando la loro autonomia e libertà di movimento si espandono al di fuori delle mura domestiche. Però, fermiamoci un attimo a considerare due aspetti importanti:

  • Il ragazzo (o la ragazza, ovviamente) vive queste domande come una specie di interrogatorio, di intrusione nella sua sfera personale e privata. I ragazzi a quest’età si sentono già adulti, almeno sotto alcuni aspetti, e vivono come una limitazione della loro libertà il fatto di dover render conto ai genitori dei loro spostamenti e delle loro frequentazioni. 
  • Al tempo stesso, i genitori entrano ed escono da casa liberamente, non raccontano necessariamente ai figli quello che hanno fatto mentre erano fuori o con chi si sono incontrati. 

Se colleghiamo tra loro queste due facce della stessa medaglia, possiamo renderci conto che i figli possono percepire un disequilibrio nella relazione con i genitori, laddove invece sentirebbero di avere diritto ad un trattamento alla pari.

Certamente, nella realtà gli adolescenti, e ancor meno i preadolescenti, non si possono considerare adulti a tutti gli effetti e non si può certamente lasciare loro tutta la libertà che pretenderebbero. Ciò non toglie che si possa modificare la relazione adulto-bambino nella direzione di un rapporto più alla pari. Per fare questo, i genitori dovrebbero imparare per primi ad aprirsi un po’ di più con i figli, raccontando alcuni episodi della loro giornata (che si tratti di lavoro o di incontri con amici), chiedendo magari anche – perché no? – un consiglio su una particolare situazione. In fondo, l’adulto può sempre selezionare cosa raccontare e cosa no, scegliendo di dire solo ciò che ritiene adatto ed opportuno, non è certo obbligato a dire tutto ai figli. Però, in questo modo, i ragazzi si sentono considerati alla pari e rispettati. Tutto ciò li porta a modificare il modo in cui vedono i propri genitori ed il rapporto con loro, rendendoli un po’ più propensi ad aprirsi a loro volta.

 Altre volte, capita che i genitori si accorgano che il proprio figlio è spesso nervoso o triste, più taciturno e imbronciato del solito. Immaginano che possa avere un problema, magari anche solo piccole incomprensioni con gli amici o difficoltà a scuola. Vorrebbero aiutarlo e iniziano a fargli una domanda dopo l’altra: “Cosa succede?” “C’è qualcosa che non va a scuola?” “Hai litigato con un amico?” … o cose del genere. Il ragazzo, naturalmente, si limita a rispondere con il solito “No no, va tutto bene”.

  Gli adulti si stupiscono e, spesso, si dispiacciono di questa chiusura dei ragazzi, vorrebbero che questi parlassero con loro di quello che stanno attraversando, anche per poterli aiutare. 

   Però, raramente i genitori parlano con i figli dei propri stati d’animo, delle proprie emozioni. Ciò è probabilmente dovuto al fatto che un genitore sente di non doversi mostrare debole di fronte ai propri figli, di dover rappresentare per loro sicurezza e stabilità. Anche se questo è in parte vero, mostrare le proprie emozioni (sempre entro i limiti dell’equilibrio e del comportamento civile e rispettoso degli altri, ovviamente), non significa affatto mostrarsi deboli. Anzi, come dicevo all’inizio, è importante trasmettere ai propri figli, fin da piccoli, il messaggio che non ci si deve vergognare delle proprie emozioni. Questo vale a tutte le età. Ad esempio, una ragazza che vede la propria madre un po’ giù e si sente confidare da lei che è preoccupata perché ha avuto una discussione con un’amica, non la vedrà debole ma semplicemente più simile a se stessa: capirà che anche sua madre vive esperienze e prova emozioni simili alle sue e sarà probabilmente più predisposta a confidarsi con lei.  

Questi esempi dovrebbero illustrare due principi importanti: il primo è che nelle relazioni in generale, e con i propri figli in particolare, si raccoglie ciò che si semina; il secondo è che il lavoro di semina non finisce mai!