
L’Italia non si frantumerà in una serie di staterelli com’era prima dell’unità faticosamente raggiunta nel 1861: il rischio è stato sventato dalla Corte Costituzionale che lo scorso novembre ha posto un severo freno all’applicazione indiscriminata della controversa legge sull’autonomia differenziata.
Fortemente voluta dalla Lega, uno dei tre partiti di maggioranza che supportano il governo Meloni, la legge prevedeva che le regioni interessate potessero negoziare con lo stato centrale per ottenere piena autonomia in 23 diversi settori, dalla salute, all’istruzione, dall’ energia ai trasporti, passando per cultura e commercio estero.
La sentenza della Corte Costituzionale non boccia il principio astratto alla base dell’autonomia indifferenziata ma riafferma in modo prioritario “l’importanza di un quadro normativo che salvaguardi l’uguaglianza tra i cittadini e l’unità dello Stato”. A detta dei giudici supremi la riforma può andare avanti soltanto se sottoposta ad una drastica revisione in modo da assicurare una maggiore coerenza con i principi costituzionali e con il rispetto del principio di leale collaborazione tra Stato e regioni.
La sentenza richiama tre principi fondamentali che non vede rispettati a pieno nel testo di legge approvata dalla maggioranza.
Il primo riguarda il primato dei Livelli essenziali delle prestazioni (Lep): secondo la Corte i Lep devono essere determinati e garantiti prima di qualsiasi trasferimento di competenze alle regioni, per evitare che l’autonomia differenziata generi disuguaglianze nei diritti fondamentali dei cittadini.
Il secondo principio chiave è quello della solidarietà interregionale: l’attribuzione di nuove autonomie non deve tradursi in un privilegio per alcune regioni, ma deve rispettare i principi di equità e solidarietà previsti dall’art. 119 della Costituzione.
Il terzo punto essenziale riguarda il ruolo delle istituzioni nazionali: la Consulta rimarca infatti che fondamentale che Parlamento e Conferenza Unificata abbiano un ruolo significativo nella definizione e approvazione delle intese, per garantire un equilibrio tra autonomia regionali e interessi nazionali.
Facendo buon viso a cattivo gioco, la Lega capeggiata dal vicepremier Matteo Salvini si è impegnata a rimaneggiare la legge alla luce dei rilievi mossi dalla Corte Costituzionale. I partiti dell’opposizione e la stragrande maggioranza dei costituzionalisti danno però per morta e sepolta la spinta al drastico regionalismo differenziato (ben visto solo dalle ricche regioni del nord governate dalla destra) promosso dalla Lega.
LaRedazione