Si laureano in Italia e poi se ne vanno perché’ in patria gli stipendi sono bassi, le prospettive di carriera troppo spesso modeste e la qualità di vita non del tutto soddisfacente: negli ultimi dieci anni questo trend allarmante ha interessato la bellezza di 97.000 giovani tra i 25 e i 34 anni.
Il trend è tra l’altro in aumento, ha segnalato un panel durante il Festival dell’Economia che si è tenuto a Trento dal 22 al 25 maggio.
In un’Italia che invecchia e si svuota, la fuga dei cervelli assume allora i contorni di un’emergenza strutturale da non trascurare o minimizzare. Il panel “La grande fuga: progetti di vita e incertezza sul futuro”, moderato dal giornalista de “Il Sole 24 Ore” Giorgio Pogliotti, ha messo a confronto visioni e testimonianze di chi, da prospettive diverse, si sente vicino alla stessa sfida che riguarda tutti: tornare a rendere l’Italia attrattiva, e in particolare per i suoi stessi giovani emigrati all’estero. La prima parola a chi la crisi occupazionale la affronta ogni giorno in prima persona: Tommaso Calcaterra, studente dell’Università di Bologna, ha raccontato le sue esperienze di studio e lavoro a Dublino e a Ottawa, testimoniando come la qualità della vita e le retribuzioni all’estero siano molto più competitive.
Eppure, l’elemento economico non basta: “Dopo la fine degli studi, vorrei tornare nelle mie Marche, ma il Paese deve mettermi nelle condizioni di farlo” spiega lo studente. Un’esperienza all’estero simile, anche se molto precedente nel tempo, per Umberto Baldi, General Counsel di Snam, che ha ricordato come negli Stati Uniti “ti senti in Serie A”. L’avvocato, oggi tornato in Italia per “motivi non economici, ma legati ai valori”, parla dei suoi primi anni di carriera americana come caratterizzati da retribuzioni paragonate ai risultati, percorsi di crescita più strutturati e una grande responsabilizzazione già nei vent’anni.
“Il fatto che i nostri ragazzi vadano all’estero va bene, ma dobbiamo fornirgli le motivazioni per rientrare. E con i nostri, dobbiamo anche i giovani stranieri. Serve un contesto che favorisca integrazione e fiducia”, ha sottolineato Max Bergami, Dean della Bologna Business School
Per il segretario generale della CGIL, Maurizio Landini, la precarietà e’ la prima “sfida urgente” da vincere e bisogna anche affrontare altre tre piaghe: salari bassi, scarsa valorizzazione delle competenze e un sistema imprenditoriale troppo spesso basato su scorciatoie anziché innovazione.
Secondo un sondaggio due giovani italiani all’estero su tre sarebbero pronti a tornare in patria se solo i salari fossero più competitivi e ci fosse una maggiore valorizzazione del merito.