Siamo sepolti da una valanga di password – una sfida alla memoria e alla pazienza sempre più complessa e più difficile da gestire – specialmente in quelle organizzazioni così paranoiche da imporre ai dipendenti di cambiare frequentemente la parola chiave per l’accesso. Non è solo un problema in ufficio. Tanti siti in rete impongono ai visitatori di creare e usare una password, forse più che per la sicurezza semplicemente per raccogliere i dati personali degli utenti.
È però negli uffici che le ‘procedure di autenticazione’ per utilizzare il proprio computer o accedere alla rete interna pesano maggiormente. In un sondaggio americano condotto su 2 mila impiegati, il 60% dei rispondenti ha dichiarato che le ripetute difficoltà con le procedure di ‘sign in’ avevano in più occasioni ostacolato lo svolgimento del loro lavoro. Il 59% ha avuto necessità di rivolgersi almeno una volta ai sistemisti interni per far resettare il proprio computer, cosa che, mediamente, ha comportato tra le cinque e le nove ore di tempo perso. Poco meno della metà degli interpellati (il 48%) ha confessato che ad un certo punto gli era capitato semplicemente di non riuscire a ricordare la propria password.
Come sarà evidente, il grado di crescente complessità per interagire con i propri macchinari sul posto di la voro ha misurabili effetti negativi sulla produzione. Il Governo americano se n’è accorto e il National Institute of Standards and Technology (NIST) – una divisione del Department of Commerce, il ‘ministero’ che si occupa tra l’altro di incoraggiare la produttività nazionale – è recentemente intervenuto con una circolare che invitava i fornitori del Governo Federale a semplificare le procedure di autenticazione in modo che i dipendenti perdessero meno tempo, riducendo così anche i costi. È solo un primo passo: la raccomandazione per ora è di abolire almeno l’insistenza sull’utilizzo nelle password dei caratteri ‘speciali’ – quelli come #, @, § e ^ – che richiedono di battere più chiavi sulla tastiera simultaneamente.
Il semplice fatto è che le password come prova d’identità vanno rapidamente verso l’obsolescenza: ormai gli hacker sono diventati troppo bravi nell’usare il proprio computer per ‘scassinare’ un altro. In un caso recente, hanno dimostrato di poter prendere controllo di un’auto – una Tesla Model S, che usa un computer di bordo per molte funzioni – da una distanza di circa 20 km, aprendo il bagagliaio, sbloccando le porte e, ciò che è più allarmante, attivando i freni.
Per un po’, l’utilizzo del riconoscimento facciale è sembrato un’alternativa molto promettente per sostituire le vecchie e mai amate password. Tuttavia, si è poi visto che fenomeni come i troppi bagordi della sera prima e gli occhi pesti che ne risultavano, oppure una mascella gonfia per problemi ai denti – insomma, cose che alterano la ‘geometria’ facciale – potevano vanificare quella soluzione. Si cercano con disperazione nuovi modi per dimostrare che siamo chi siamo.
James Hansen