
Un colpo mortale alle comunità italiane all’estero, a parole portate in palmo di mano ma nei fatti snobbate, o una riforma giusta e necessaria che disciplina, responsabilizza e fa chiarezza?
Non si placano le polemiche e i giudizi contrapposti sulla legge 74/2025, fortemente voluta dal governo di centro-destra con a capo Giorgia Meloni e approvata in via definitiva dal parlamento lo scorso 20 maggio, che limita in modo drastico l’accesso alla cittadinanza italiana per i discendenti degli emigrati.
In sintonia con parecchi Comites (in primis quelli dell’America Latina ma anche i sette esistenti in Svizzera), la principale forza d’opposizione, il partito democratico (PD), continua a sparare a zero contro una riforma bollata come un giro di vite “codardo e ostile”: “Le nostre comunità non esisteranno più, perché spezzando la catena di trasmissione, di fatto, non ci saranno più comunità italiane al di fuori dell’Italia”, ha denunciato il senatore del PD Francesco Giacobbe in piena sintonia con la segretaria del partito Elly Schlein che ha parlato di “una stretta incomprensibile” e accusato il governo Meloni di voler “rubare il diritto alla cittadinanza” ai nipoti degli italiani all’estero.
“Ciò che risulta davvero incomprensibile – hanno replicato al PD e in particolare alla Schlein i Coordinatori di Forza Italia per Nord e Centro America (Forza Italia di berlusconiana memoria e’ uno dei tre partiti al governo) – è la pretesa che la cittadinanza italiana possa essere trasmessa all’infinito, senza alcun limite, anche a chi non ha mai avuto un legame concreto con il nostro Paese…È illogico pensare che la cittadinanza italiana possa essere concessa automaticamente, generazione dopo generazione, prescindendo da qualsiasi reale connessione con l’Italia…Rispettiamo profondamente la nostra diaspora e chi ha portato l’Italia nel mondo con orgoglio, lavoro e sacrificio. Ma proprio per onorarla dobbiamo proteggere il valore della cittadinanza, evitando che diventi un automatismo burocratico privo di significato”.
Sull’argomento si confrontano dunque due scuole di pensiero davvero agli antipodi ma una cosa è certa e indubbia: la svolta impressa dal governo Meloni è destinata ad avere un grosso impatto sulla diaspora tricolore.
C’era una volta un Paese (l’Italia) dove vigeva a titolo universale lo ius sanguinis: si diventava italiani soltanto per diritto di sangue, e cioè avendo almeno un genitore con passaporto italiano. Dopo il 20 maggio non è più così. D’ora in poi avranno pienamente diritto alla cittadinanza italiana soltanto quanti hanno almeno un genitore o un nonno con questi requisiti: nato in Italia e privo di una seconda cittadinanza. Di fatto questo diritto si perde dopo due generazioni al massimo o anche prima se genitori e nonni hanno acquisito un’altra cittadinanza oltre l’italiana.
Non basta: per conservare la cittadinanza italiana bisognerà “mantenere nel tempo legami reali con l’Italia, esercitando i diritti e i doveri del cittadino almeno una volta ogni venticinque anni”.
Il controverso giro di vite è oltremodo curioso tenendo conto che la Penisola è in drammatico inverno demografico (non si fanno più figli) e la maggioranza di centro-destra al potere avversa l’idea di far diventare rapidamente italiani gli emigrati e la loro prole introducendo lo ius soli o lo ius scholae, e cioè il diritto di cittadinanza italiana se si nasce dentro i confini della Penisola o si è andati a scuola nella Penisola con profitto per almeno dieci anni. Insomma si è ridimensionato drasticamente lo ius sanguinis all’estero tagliando fuori almeno dieci milioni di discendenti di italiani attualmente residenti in America Latina ma non sembra esserci una coerente visione del futuro.
“La cittadinanza – ha comunque argomentato il ministro degli Esteri Antonio Tajani a giustificazione del giro di vite – deve essere un riconoscimento serio e consapevole, che si conferma attraverso l’impegno. Questa riforma non esclude, ma responsabilizza. Propone criteri più selettivi e trasparenti, capaci di rafforzare l’integrità del nostro sistema e prevenire abusi.Non si procederà più a riconoscimenti automatici a favore di persone nate all’estero che non abbiano almeno un genitore o un nonno di cittadinanza esclusivamente italiana. I figli dei cittadini italiani nati all’estero avranno comunque la possibilità di acquisire la cittadinanza se i genitori ne faranno richiesta”. A suo giudizio si tratta di “un provvedimento voluto per restituire dignità e significato a un diritto che deve fondarsi su un legame autentico con l’Italia, non solo burocratico, ma culturale, civico e identitario”.
In totale antitesi a Tajani i Comites svizzeri – al pari di molti ma non di tutti i Comites – hanno condannato senza mezze misure una legge che “disconosce il valore profondo della cittadinanza come riconoscimento di un’appartenenza culturale, affettiva e storica”, è stata adottata “in assenza di un reale confronto con le rappresentanze democratiche delle comunità italiane nel mondo” e si configura “come una misura esclusiva, punitiva e potenzialmente incostituzionale, che rischia di compromettere diritti storicamente riconosciuti e consolidati”.
Sulla stessa lunghezza d’onda i membri del Consiglio Generale degli Italiani all’Estero (CGIE) eletti in Germania – Tommaso Conte, Silvestro Gurrieri, Gianluca Errico, Marilena Rossi, Giuseppe Scigliano e Giulio Tallarico – hanno lanciato una campagna social per chiedere di “rivedere gli aspetti “discriminatori” della legge 74/2025 sulla cittadinanza.
Pur non schierandosi apertamente per nessuna delle due contrapposte scuole di pensiero il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha lanciato dal canto suo un appello affinché si valutino attentamente le conseguenze concrete della riforma fatta, un’implicita e garbata richiesta di modifiche alla quale finora il governo Meloni sembra aver risposto picche.