Colpiti (dall’astensionismo rampante) e affondati: i cinque referendum abrogativi di iniziativa popolare per i quali gli italiani sono stati chiamati alle urne l’8 e 9 giugno si sono risolti in un colossale (e previsto) flop. Perché’ il loro risultato fosse valido doveva andare a votare almeno il 50% degli aventi diritto (il cosiddetto “quorum”) ma l’affluenza si è fermata ad un modesto 30,6%.
In UK, dove si è votato ancora una volta per posta al pari di tutti gli altri Paesi esteri, gli italiani che si sono degnati di restituire le cinque schede (una per ogni referendum) sono stati 98.093 (su un totale di aventi diritto di 4000.105): l’affluenza è stata dunque un misero 24,52%.
La cinquina di quesiti – uno per ridurre da 10 a 5 anni il tempo di residenza legale in Italia di uno straniero per l’accesso alla cittadinanza italiana, gli altri quattro riguardanti il rafforzamento delle tutele per il lavoro dipendente – era stata promossa dalle opposizioni di sinistra e dal sindacato CGIL e al flop ha contribuito il fatto che i partiti della maggioranza di centro-destra hanno apertamente invitato gli elettori a snobbare le urne in modo da far mancare il “quorum”.
Un controverso invito a disertare il voto è stato ad esempio lanciato dallo speaker del Senato Ignazio La Russa (seconda carica dello stato) mentre la premier Giorgia Meloni ha eccelso in creatività: è andata a votare ma non ha ritirato le schede”.
Tenendo conto che al giorno d’oggi per le elezioni più importanti – quelle legislative per il rinnovo del parlamento – si presenta ai seggi poco più di un elettore su due il referendum di iniziativa popolare è ormai uno strumento morto e sepolto della democrazia italiana se il “quorum” non viene abbassato o abolito.
L’astensionismo è stato senz’altro alimentato anche dalla percezione che i cinque quesiti (formulati in un burocratese più vicino all’ostrogoto che all’italiano) vertevano su questioni di importanza secondaria per i più.
Quelli che hanno esercitato il diritto al voto hanno risposto sì ai quesiti con quote dal 79,90 al 73,66%. I no più consistenti (26,34%) hanno riguardato la riduzione da 10 a 5 anni per l’accesso alla cittadinanza italiana.
Non fa certo onore all’Italia il fatto che all’estero si è ancora una volta utilizzato il controverso voto per posta che in passato si è prestato a frodi e abusi: anche qui un segnale di immobilismo che di certo non avvicina la politica alla gente.