PARTE I – Periodo romano

Nel 55 a.C. Cesare invase la Britannia. Seguì una dominazione romana durata piu’ di quattro secoli e gli storici (e anche il cinema) tuttora ne dibattono: fu una presenza effimera o ebbe un impatto profondo?
Il film “The Eagle”, basato sul libro di Rosemary Ratcliff, The Eagle of the Ninth, racconta la storia di Marcus Aquila, un giovane soldato romano che dopo 20 anni, cerca di recuperare lo stendardo dell’aquila d’oro, perduta da suo padre, Flavius Aquila, comandante della IX Legione romana. Flavius infatti, aveva guidato la IX Legione in Caledonia per domare le insistenti insurrezioni della popolazione che abitava oltre il muro di Adriano, ma fu sconfitta, fu privata dello stendardo d’oro ed infine fu dispersa nel nulla. La IX Legione, simbolo della più grande potenza del mondo allora conosciuto, fu sconfitta da tribù poco organizzate e divise tra loro.
Vi è un altro film che parla della IX Legione romana: “The Centurion”. In questo film, a dire il vero meno famoso del precedente, la IX Legione romana con a capo il Generale Virilus, fu inviata al di là del muro di Adriano per placare le frequenti invasioni delle tribù che scendevano dalla Scozia. La IX Legione fu contrastata dalla feroce se pur piccola tribù dei Pitti guidata da Vortix, che non solo sgominò e disperse la legione romana ma fece prigioniero anche il suo comandante. Un soldato romano, il centurione Quintus Dias, accecato dalla sete di vendetta per la sconfitta subita, raggruppa i pochi soldati sopravvissuti e cerca di salvare il Generale Virilus.


I due film, anche se ambientati in un periodo ben limitato (nel secondo secolo dopo Cristo) e al di là della effettiva fine della IX Legione, hanno un effetto in comune: quello di riaffermare e tramandare la convinzione popolare dei britannici che la sconfitta e il conseguente dileguamento della IX Legione romana dimostra e giustifica la conclusione che tutto il periodo di più di 400 anni di dominazione romana, sia stato un isolato e breve periodo, privo di alcuna conseguenza nella storia di questa Nazione. E non si tratta di una convinzione solo popolare ma anche di una tesi portata avanti per decenni da eminenti studiosi storici come il Professore Collingwood di Oxford, i quali hanno scritto e cercato di documentare l’idea che tutta l’occupazione romana sia stato un periodo degno solo di curiosità letteraria.
Per l’antica Roma invece, fin dal primo approdo di Cesare sulle sponde di Pagwell Bay, l’annessione e l’inserimento delle isole britanniche nell’impero romano è stato considerato sempre un obiettivo molto importante. Ne fanno fede, come vedremo, la partecipazione degli stessi imperatori nelle diverse battaglie combattute su queste terre, le opere realizzate e i cambiamenti sociali realizzati durante e dopo l’occupazione. Peter Salway, uno studioso dell’Università di Oxford, sostiene quanto importante siano state le isole britanniche per i romani nel suo ultimo saggio “Roman Britain”, della catena Oxford History of England.
Del resto, come ci dice Tacito, gli stessi britanni indossavano con orgoglio la toga di Roma fin dai primi anni della loro annessione.
Ma quale è, in effetti l’eredità che i romani hanno lasciato alla Gran Bretagna?
Nelle prossime pagine presenteremo ai lettori le tappe della conquista e della dominazione romana, visiteremo le città e le opere lasciate dai romani, percorrendo le principali strade che essi stessi avevano costruito ed infine mostreremo i cambiamenti duraturi che sono stati compiuti dai romani nella lingua, nella cultura, nella vita sociale e nella religione dei britannici.


Capitolo 1 – Giulio Cesare e l’invasione della Britannia
Si era alla fine del mese di luglio dell’anno 55 a.C. quando Giulio Cesare, stanco delle incursioni dei Britanni sulle terre della Gallia da poco conquistate, decise di invadere la Britannia. Lo scopo era quello di incutere terrore su quelle popolazioni. Cesare voleva esibire la potenza del suo esercito ed impedire che le tribù di questa terra continuassero ad aiutare i loro simili che abitavano al di là della Manica. Contemporaneamente, Cesare aveva necessità di dimostrare il suo valore militare per mantenere viva la sua notorietà davanti al suo popolo di Roma.
Con 10000 soldati Cesare decise di salpare di notte da Boulogne anche se il vento non gli era favorevole. La mattina seguente, quando avvistò le coste bianche di Dover, non vedendo le imbarcazioni della sua cavalleria, temporeggiò e ordinò ai suoi soldati di gettare ancora. In effetti la sua cavalleria, anche se era pronta a salpare con le 18 galee ad essa riservate, non riuscì a lasciare il porto di Amblateuse, un altro porto vicino a Boulogne, per via di una tempesta che andava mano mano aumentando e che già aveva danneggiato alcune delle stesse imbarcazioni.
Intanto, sulle colline di Dover si assemblavano le varie tribù dei Britanni che avevano deciso di opporre resistenza. Verso le tre del pomeriggio la tempesta ancora non si era placata. Cesare decise che quello non era il luogo adatto dove ingaggiare battaglia con il nemico e si diresse verso ovest, per trovare una spiaggia più sicura. Sbarcò sulla spiaggia di Ebbsfleet, vicino a Pegwell Bay. Le tribù dei Britanni che avevano capito e seguito i movimenti dei romani, si erano schierati sull’isola Thanet che sovrastava la Baia di Pegwell.
La tempesta, combinata all’alta marea, faceva sbattere le imbarcazioni l’una contro l’altra, rendendo difficile la comunicazione dei comandi ed impossibile lo sbarco. I soldati esitavano a scendere dalle loro imbarcazioni di atterraggio e Cesare, per un momento, considerò di ordinare il ritorno in Gallia. All’improvviso, il porta-vessillo, buttandosi tra le onde gridò: “Camerati! se non volete che il vessillo dell’Aquila di Roma cada tra le mani dei nemici, seguitemi!”. Udendo quel grido, i soldati si riversarono sulla spiaggia e con grande coraggio sconfissero le tribù dei Britanni che assistiti da Comius, una alla volta chiesero la pace che Cesare accordò loro.
Molti studiosi concordano nel fatto che le tribù che abitavano le isole britanniche e l’Irlanda all’inizio del primo millennio erano i Celti, portatori della Cultura di La Tené. La Tené è un sito archeologico che si trova ad est del Lago Neuchâtel, in Svizzera, ed è il termine che oggi viene utilizzato per identificare la cultura dei Celti europei della fine dell’Era del Ferro i quali da quel luogo, si sparsero per tutta l’Europa.
I Celti erano quindi un insieme di tribù che provenivano da un unico popolo. Essi abitavano un’ampia e ininterrotta area dell’Europa, dalle isole britanniche fino al bacino del Danubio, ivi compresi i gruppi isolati che si erano spinti a sud nella penisola iberica, in Italia del nord e in Turchia. Essi erano legati dal fatto che condividevano le stesse origini etniche e culturali, parlavano una stessa lingua e dividevano numerose caratteristiche sociali e religiose. Politicamente però, essi rimasero sempre frazionati e divisi tra loro. Tra i vari gruppi delle popolazioni celtiche, oltre ai Britanni (isole britanniche), si distinguevano i Galli (Francia e Svizzera, Belgio, Lussemburgo, Germania Centro-occidentale e Paesi Bassi), i Galli Cisalpini (Italia settentrionale) i Pannoni (Germania, Austria e Ungheria) i Celtiberi (Spagna e Portogallo) e i Galati (Turchia).
Le tribù celtiche emigrarono in Gran Bretagna attraverso la Manica tra il 900 e il 700 a.C. e si espansero rapidamente verso il nord dell’Inghilterra, in Irlanda ed in parte anche in Scozia, dove però erano maggiormente presenti i Pitti, un popolo molto più antico dei Celti.
Le maggiori tribù che abitavano a sud della Britannia al tempo di Cesare erano gli Iceni, i Catuvellauni, i Trinovantes, i Cantiaci, i Regnenses, gli Atrebates, i Belgae e i Dumnonii.
Prima della venuta dell’inverno di quello stesso anno, Cesare ritornò in Francia, non dopo aver chiesto ed ottenuto un gran numero di prigionieri dai Britanni.
Cesare ritornò in Britannia un anno dopo, quando aveva messo insieme una forza militare ben più consistente. La notte del 6 luglio del 54 a.C. la sua flotta lasciò Portus Itius: Cesare aveva al suo comando 5 legioni e 2000 cavalieri che salparono a bordo di 80 navi. In questa occasione Cesare si diresse direttamente verso Pegwell Bay dove sbarcò la mattina seguente senza incontrare alcuna resistenza.
Cesare vinse la prima importante battaglia a circa venti kilometri lontano dal lido a nord del Tamigi, quando i Britanni, riunitisi attorno a Cassivellauno avevano deciso di attaccare i legionari che erano occupati nella costruzione delle fortificazioni. Cesare decise di passare all’attacco che fu condotto con tale rapidità che i seguaci di Cassivellauno non si resero conto di quanto stava accadendo e non potendo sostenere l’impatto con i legionari, abbandonarono la riva del Tamigi e si diedero alla fuga.
Cesare decise di portare a termine la sua azione in Britannia attaccando Cassivellauno che nel frattempo si era accampato in una cittadina fortificata presso St. Albans. Cesare conquistò questo presidio e costrinse i britanni alla sottomissione, a pagare un tributo annuale ed a consegnare subito alcuni ostaggi.
Anche in questa occasione, Cesare ritornò in Francia senza aver conquistato territori, ma creò una serie di clientele, di rapporti commerciali e diplomatici che da una parte impedirono un’altra invasione della Britannia durante il periodo degli imperatori Augusto e Tiberio e dall’altra facilitarono la strada per la sua conquista cento anni dopo.
Il geografo greco Strabo, vissuto nel periodo di transizione dalla Repubblica Romana all’Impero Romano, scrive appunto che i tributi pagati dai Britannici durante quel tempo erano molto vantaggiosi e che sarebbero stati messi in pericolo se Roma avesse deciso di avviare una nuova campagna di guerra in Britannia.
Ma vi è un altro indizio che avvalora il fatto che i rapporti commerciali iniziati da Cesare con i Britanni erano fiorenti durante il periodo di tregua dei cento anni. Poco prima delle due invasioni di Cesare, il principale porto di sbarco di quasi tutte le merci che dal continente transitavano in Britannia era il porto di Hengistbury Head, tra Poole e Bournemouth. Questo porto, insieme con gli altri più piccoli attigui, venivano gestiti e monopolizzati dai Veneti, una importante tribù dei Celti che viveva in Armorica (a nord ovest della Francia) avendo a loro disposizione una grande flotta. Dopo la sconfitta dei Veneti da parte di Cesare (anno 56 a.C.) il porto di Hengistbury Head cessa di operare e l’area di commercio con il continente si sposta in Essex dove vivevano i Trinovantes, con il cui re Mandubracius, Cesare aveva stretto contatti privilegiati prima di lasciare la Britannia.
Britannia: per 350 anni provincia romana, da Claudio a Onorio


Circa un secolo dopo, nell’anno 43 d.C., l’imperatore romano Claudio ordinò la conquista vera e propria della Britannia. I motivi di questa decisione furono vari. Claudio era stato nominato imperatore dai pretoriani dopo l’assassinio di Caligola ma aveva speso quasi tutti i suoi cinquanta anni tra libri di algebra e filosofia. Aveva quindi necessità di creare per sé una reputazione militare per consolidare la sua posizione a dir poco precaria.
L’opportunità gli venne offerta da Verica, il re degli Atrebates con cui Roma aveva sviluppato importanti rapporti diplomatici ed un considerevole scambio di merci. Gli Atrebates avevano insistentemente richiesto il ritorno di alcuni disertori che erano detenuti da Roma. Verica rifiutò di agevolare la loro consegna schierandosi dalla parte di Roma e i suoi sudditi, sentendosi a loro volta traditi, si rivoltarono contro di lui e lo bandirono dalla Britannia.
Claudio interpretò questo gesto come un segno grave di ribellione tanto più che i Catuvellauni, nel frattempo, avevano occupato quasi tutto il sud della Britannia, erano riusciti ad unire la maggior parte delle tribù circostanti e quindi rappresentavano una seria minaccia contro il potere commerciale dei romani in Britannia.
Claudio affidò il comando a Aulus Plautius e mise a sua disposizione quattro legioni, con altri ventimila uomini ausiliari ed ingenti provviste per l’impresa.
Le legioni sbarcarono in due posti diversi: due a Richborough e due nei pressi di Chichester. I Britanni non attaccarono i romani appena sbarcati: preferirono tenerli a distanza sperando che le loro provviste presto venissero a finire. Quando finalmente Plautius riuscì a scovarli, li affrontò in due battaglie e sconfisse sia le milizie di Caratacus, re dei Catuvellauni, e poi quelle del fratello Togodumnus, che aveva sostituito Verica come re degli Atrebates, conquistando sia il Kent che lo Hampshire. In seguito il condottiero romano ottenne la sottomissione per delegazione dei Dobunni, tribù che viveva nell’alto Somerset e nelle zone moderne di Bristol e di Gloucester.
Ma i Britanni non erano ancora sconfitti; una imponente armata si era rifugiata dietro il fiume Medway. Plautius ordino’ l’attacco. La battaglia durò due giorni, cosa inusuale per quei tempi, ma alla fine i soldati romani ebbero la meglio.
Nel frattempo l’imperatore Claudio, senza avviso né preavviso raggiunse le legioni romane in Britannia e sotto il suo diretto comando i legionari inseguirono il nemico oltre il Tamigi, conquistarono la fortezza di Camulodunum (Colchester) che Claudio volle nominare capitale della nuova provincia dell’Impero romano.
Claudio rientrò a Roma tre anni dopo l’inizio della campagna per celebrare la vittoria. Il senato gli offrì l’appellativo di Britannicus, che egli rifiutò per sé ma volle per il suo secondo figlio avuto dal la moglie Messalina, Tiberio Claudio Cesare Britannico.
Dopo Claudio, le campagne romane durarono diversi anni e diversi imperatori ne presero parte. Ma la insurrezione con la conseguente conquista più conosciuta e avvolta un po’ nella leggenda, è stata quella avvenuta sotto l’imperatore Nerone.
Siamo nel 59 d.C. quando la tribù degli Iceni, guidati dal loro re Prasutago, collaborando con i romani, viveva relativamente in pace nei territori della zona moderna di Norfolk e Suffolk.
In quell’anno, Nerone inviò in qualità di governatore della Britannia il senatore Svetonio Paolino, privo di abilità politica ma famoso per la sua inflessibilità nel comando.
Il re Prasutago degli Iceni era sposato con Boadicea ed insieme avevano due figlie. Non avendo eredi maschi, Prasutago nominò eredi in parti uguali l’imperatore romano e la moglie Boadicea finche’ le sue figlie non raggiungessero la maggiore età. Egli pensava che in questo modo potesse assicurare un futuro alla sua famiglia. Il re morì un anno dopo, nel 60 d.C. e salì al trono la moglie Boadicea. La politica romana in queste occasioni prevedeva l’annessione all’impero di tutto quanto appartenesse al re defunto, perciò Nerone ordinò l’occupazione del territorio.
Ne seguì un vero e proprio massacro: i centurioni saccheggiarono in lungo e in largo il regno degli Iceni e si appropriarono dei terreni mentre gli schiavi devastarono le loro proprietà.
La regina Boadicea protestò con tutte le sue forze e per tutta risposta Marciano la umiliò esponendola nuda in pubblico e frustandola, mentre le sue giovani figlie venivano stuprate.
La reazione degli Iceni fu immediata e violenta. Da poco in Comulodunum (Colchester), la capitale romana in Britannia, si era stabilita la prima colonia dei veterani legionari romani i quali, per i loro soprusi, erano odiati dalla popolazione locale. La regina Boadicea, avendo ottenuto l’aiuto dei vicini Trinovanti, a capo di più di 10000 uomini marciò su Camulodunum, distruggendola e massacrando la popolazione. I rivoltosi di Boadicea, ci dice lo storico Dione Cassio, non si accontentarono di distruggere la città ma commisero una seria di atrocità specialmente verso le nobildonne a cui avevano tagliato il seno, per vendicare i soprusi ricevuti. Da Camulodunum, Boadicea si diresse verso Londinium (London) espugnandola e la stessa sorte toccò alla città di Verulamium (St. Albans).
In quel momento Paolino era lontano. Combatteva i Druidi sull’Isola Mona (Anglesey). Egli tornò immediatamente, raccolse tutti i soldati disponibili e affrontò Boadicea sulla strada romana di Waitling Street, vicino la città moderna di Wroxeter. La battaglia fu vinta dai romani anche se i ribelli erano di numero cinque volte superiore. La regina si tolse la vita piuttosto che cadere nelle mani dei vincitori. Era l’anno 61 d.C.
La statua in bronzo di Boadicea e delle sue figlie, realizzata da Thomas Thornycroft nel 1883, può essere ammirata ancora oggi sul Victoria Embankment, verso la fine del ponte di Westminster di fronte al Big Ben. Boadicea viene raffigurata come la descrive lo storico Dione Cassio: una gran massa di capelli fulvi che le scendono fino alla cintola, alta statura quasi spaventevole da vedere, una lancia in pugno, vestita da una tunica di diversi colori e un mantello fermato da una spilla.
La vittoria di Svetonio Paolino su Boadicea permise ai romani di riguadagnare il pieno controllo dell’isola. Negli anni seguent altre campagne militari spinsero l’occupazione della Britannia fino ai confini della Scozia.
Marco Traiano divenne imperatore di Roma nel 98 d.C. e per rafforzare il confine ed impedire le molteplici incursioni dei Caledoni, egli fece demarcare una frontiera che collegava Carlisle con Newcastle on Tyne.
Venti anni dopo, l’imperatore Adriano rafforzava questa linea con la costruzione di un muro lungo 72 miglia che attraversava l’isola da mare a mare e segnava il confine tra la Britannia romana e la Caledonia. Il muro era di pietre, con due larghi fossi di protezione sia davanti che di dietro e dotato di fortificazioni lungo il tragitto.
Nell’anno 142 d.C. questa demarcazione del limite settentrionale dell’Impero romano venne spostato più a nord, per circa 160 Km., con la costruzione di un altro muro, il Vallo Antonino, che porta il nome dell’imperatore del tempo, Antonino Pio. Questa fortificazione era più piccola del Vallo di Adriano perché lunga solo 39 miglia e costruita di terra e di palizzata in legno con alcuni forti e fortini costruiti lungo il tratto. E infatti non ebbe vita lunga e dopo una breve rivisitazione durante il tempo dell’imperatore Settimio Severo, fu del tutto abbandonata nel 211 d.C.
La costruzione dei due valli non segnò la fine delle incursioni dei Pitti e dei Caledoni. Esse si intensificarono e dal 250 d.C. divennero più minacciose perché nel frattempo anche Angli, Sassoni e Juti avevano iniziato a irrompere sulle popolazioni delle coste della Britannia partendo dalla Germania e dalla Scandinavia. Tutto questo accadeva mentre l’impero romano, dilaniato anche dalle lotte interne, non riusciva ad assicurare alla provincia Britannia una adeguata e stabile protezione.
La riforma della Tetrarchia apportata da Diocleziano nel 294 d.C. – con l’impero diviso in quattro territori governati rispettivamente da due Augusti e due Cesari – aveva appunto lo scopo di assicurare più stabilità e sicurezza all’impero. La Britannia stessa nel 296 d.C. fu divisa in quattro provincie: la Maxima Caesariensis (l’Inghilterra del nord fino al Vallo di Adriano), la Britannia Prima (il sud dell’Inghilterra), la Flavia Caesariensis (Midlands e East Anglia) ed infine la Britannia Secunda (Wales).
Nel 305 d.C. Diocleziano ormai stanco, passò il comando al suo cesare Galerio e la stessa cosa fece Massimiano, passando il potere a Costanzo Cloro. Contemporaneamente i due nuovi augusti scelsero i nuovi cesari. In particolare, Costanzo Cloro scelse come suo cesare e successore Flavio Valerio Severo. Ma questo passaggio di potere non avvenne come previsto dallo schema tetrarchico, così cambiando il corso della storia.
Costanzo Cloro, conosciuto come “l’imperatore pallido” perché sofferente di leucemia, aveva appena sconfitto i Pitti e gli Scoti, guadagnando l’appellativo di “Britannicus Maximus” quando, trovandosi a Eboracum (York), venne nominato augusto. A combattere con lui vi era il figlio Costantino che in separate battaglie aveva dimostrato le sue alte qualità di condottiero. L’anno seguente Costanzo Cloro morì e le sue truppe nominarono augusto il figlio Costantino mentre ancora si trovava a York, non riconoscendone il diritto a Flavio Valerio Severo.
Seguirono più di 20 anni di guerre intestine, fino a quando Costantino il Grande si impose, mise da parte la tetrarchia e dono’ di nuovo un senso di stabilità a tutto l’Impero romano dove
con l’Editto di Milano del 306 d.C. il cristianesimo divenne una religione lecita e si espanse a macchi ad’olio.
Nel 367 d.C. i Barbari dalla Scozia, dall’Irlanda e dalla Germania lanciano una serie di incursioni sull’isola, depredando ogni città tanto da indurre la Britannia in uno stato di anarchia. Una pace apparente viene ristabilita solo 40 anni dopo, grazie ad un grande contingente di soldati che venne assemblato da altre provincie dell’Impero. Ma l’ascesa a capo dell’Impero d’Occidente di Flavio Onorio quando aveva solo undici anni, segnò anche l’inizio della fine della dominazione romana della Britannia. Onorio era troppo debole ed indeciso per la gravità dei tempi in cui visse e fu dominato dalla figura prepotente del generale Stilicone, di cui sposò le sue due figlie.
Era il tempo in cui il contrasto dell’Impero d’Occidente con l’Impero d’ Oriente, la calata in Italia da parte dei Visigoti, l’orda degli Svevi, degli Alani e dei Vandali guidati da Radagaiso nella Gallia ed infine il sacco di Roma da parte di Alarico costrinse Onorio a concentrare tutte le sue forze militari in Italia, lasciando sguarnita la Britannia.

E quando nel 410 d.C. arriva dalla Britannia l’ennesima richiesta di aiuto per salvarli dalle incursioni dei Sassoni, degli Scoti, dei Pitti e degli Angli, l’imperatore Onorio risponde che era tempo che la Britannia pensasse alla propria difesa, ponendo così a 350 anni di occupazione.