
In ansia da metà febbraio i cattolici del mondo intero: Papa Francesco sta male. Polmonite doppia. È finito all’ospedale in gravi condizioni.
Dopo il ricovero d’urgenza al policlinico Gemelli di Roma lo scorso 14 febbraio a causa di crescenti difficoltà respiratorie i medici curanti hanno subito parlato di “un quadro clinico complesso” tenendo conto dell’età avanzata (88 anni) e dello stato globale della sua salute. E hanno avvertito: il pontefice italo-argentino “è in pericolo”.
All’inizio la situazione non è apparsa molto drammatica: la premier italiana Giorgia Meloni gli ha reso visita il 19 febbraio, l’ha trovato “vigile e reattivo” e ha raccontato di aver scherzato con lui “come sempre” (“Non ha perso il suo proverbiale senso dell’umorismo”) ma poi le cose sono peggiorate e il Santo Padre ha incominciato ad aver bisogno di ossigeno ad alti flussi e a trasfusioni di sangue.
La diagnosi di polmonite bilaterale con tutti i rischi connessi ha dato la stura alla possibilità che anche in caso di sopravvivenza Papa Francesco – apparso molto affaticato negli ultimi mesi e costretto a muoversi in carrozzella a causa di un ginocchio malconcio – si dimetta come fece nel febbraio 2013 il suo predecessore Benedetto XVI non considerandosi più in grado di condurre a pieno la sua attività pastorale.
Questa prospettiva ha preso corpo dopo le parole pronunciate lo scorso 20 febbraio dal cardinale Gianfranco Ravasi: “Le dimissioni del Papa? Io penso che possa farlo, perché è una persona che, da questo punto di vista, è abbastanza decisa nelle sue scelte. È fuori di dubbio che, se si trovasse in una situazione in cui fosse compromessa la sua possibilità di avere contatti diretti come lui ama fare, di poter comunicare in modo immediato, incisivo e decisivo, allora credo che potrebbe decidere di dimettersi”.
Anche se la sua lotta contro la malattia si concludesse in modo positivo non è in effetti chiaro che Papa Francesco possa ritornare rapidamente agli impegni pubblici, particolarmente importanti e gravosi per tutto il 2025 perché è l’anno del Giublieo e milioni di pellegrini arrivano a Roma con la promessa di una remissione totale dei peccati.
Jorge Mario Bergoglio è nato a Buenos Aires il 17 dicembre 1936 in una famiglia con radici liguri e piemontesi e il 13 marzo 2013 è diventato il 266simo papa. Prima di lui né il Sud America né l’Ordine dei Gesuiti ne avevano mai espresso uno.
Prima che un’impetuosa vocazione religiosa lo portasse ad entrare in seminario nel marzo 1958 Jorge Mario – figlio di un impiegato delle ferrovie salpato nel 1928 da Genova in cerca di fortuna in Argentina – si era diplomato perito chimico, aveva addirittura lavorato come buttafuori in un locale malfamato di Córdoba e aveva avuto anche una fidanzata.
Ordinato prete nel 1969, il futuro Santo Padre si è dedicato a lungo all’insegnamento diventando arcivescovo di Buenos Aires nel 1998 dopo esserne stato il. vescovo ausiliare dal 1992. Nella città natale Bergoglio – cardinale dal febbraio 2001 – si mise prontamente in vista per uno stile improntato a grande semplicità e affabilità al fatto che si muoveva con i mezzi pubblici e preferiva vivere in un piccolo appartamento (cucinandosi lui stesso i pasti) invece che nei fasti della sede episcopale. È il primo pontefice a farsi chiamare Francesco adottando – non succedeva da 11 secoli – un nome mai utilizzato da un predecessore.
“Proprio in relazione ai poveri – ha poi svelato – ho pensato a Francesco d’Assisi. Ho pensato alle guerre……Francesco è l’uomo della pace. E così è venuto il nome, nel mio cuore: Francesco d’Assisi. È per me l’uomo della povertà, l’uomo della pace, l’uomo che ama e custodisce il creato; in questo momento anche noi abbiamo con il creato una relazione non tanto buona, no? È l’uomo che ci dà questo spirito di pace, l’uomo povero… Ah, come vorrei una Chiesa povera e per i poveri!”.
LaRedazione