
“CON IDEA DEMOCRATICA E MENO ELITARIA DEL MANGIARE ITALIANO”
Tra gli Chef italiani più famosi grazie anche alla tv, a Londra dal 1986 se si esclude un biennio a Parigi all’inizio degli Anni Novanta, Giorgio Locatelli si prepara ad una nuova avventura dopo aver chiuso a sorpresa a fine 2024 la storica “Locanda Locatelli”: nella prima metà di maggio apre un suo nuovo ristorante dentro la National Gallery.
Il progetto – dice in un’intervista esclusiva al nostro giornale lo chef, classe 1963, originario di Corgeno di Vergiate, un piccolo centro in provincia di Varese – “mi entusiasma, perché posso promuovere l’eccellenza del made in Italy attraverso un’esperienza accessibile, veloce, e soprattutto con un approccio più “sociale” che combaci bene con un’idea democratica e meno elitaria del mangiare italiano in sintonia con la mia filosofia di qualità senza compromessi”.
“Io – sottolinea – ho 60 anni e una cultura del cibo che reputo elevata e l’idea di vivere l’esperienza del cibo associata alle opere d’arte della National, abbinare gusto e olfatto, con presentazioni più essenziali rispetto a prima. …Andremo diretti su profumi e sapori”.
Ma come mai “La locanda Locatelli” ha chiuso dopo 23 anni?
A fine contratto della Locanda dovevamo valutare se rinnovare o meno e proseguire. Tra impegni di qua e di là, si pensava ad uno o due anni sabbatici, a viaggiare in paesi che non conosco come Australia, Giappone ecc. Abbiamo detto: ci teniamo le collaborazioni e Master Chef. Poi è uscito il bando per l’apertura di un ristorante presso la National Gallery, ho detto: “Proviamo!” c’erano almeno altri 20 aspiranti, abbiamo presentato il progetto e partecipato al bando.
Che cosa ci puoi anticipare del nuovo ristorante?

È una novità totale, l’apertura del ristorante coinciderà con il restyling della Sainsbury Wing della National Gallery, firmato da Selldorf Architects. È un progetto di rinnovamento, che includerà un nuovo percorso espositivo, un luogo dove i visitatori potranno vivere un’esperienza completa, tra arte e gastronomia. In verità non pensavo di vincere, era una situazione fuori dagli standard tradizionali della ristorazione ma credo siano stati lungimiranti
Il nome Locatelli non ha influito?
Sai, sono cose diverse, faremo il ristorante e un coffee in abbinata ai maritozzi, salati e dolci, poi la club house sotto il membership club. Il ristorante avrà un disegno easy, democratico. Io voglio le tovaglie mia moglie no, stiamo decidendo.
Nome?
Locatelli alla National Gallery. Stiamo creando un nuovo logo, vogliamo solo vini italiani, collaborazioni con grandi marchi e la promozione dei relativi prodotti, sela gente è coinvolta diventa più sensibile alle proposte. Girerò molto alla ricerca di prodotti e marchi.
Un’esaltazione del concetto di esperienza sensoriale
Mia moglie dice che deve essere un’esperienza open-democratica; la Locanda è nata con l’idea di un posto dove a noi sarebbe piaciuto andare, negli anni l’impatto economico si è accentuato anche in virtù dei proibitivi costi di gestione, letteralmente fuori controllo
Non si capisce perché mangiare stia diventando un affare da ricchi
L’idea è proprio questa, sarà anche una gestione completamente diversa riuscendo a combinare alta qualità e sostenibilità per un pubblico molto ampio e non esclusivo senza togliere niente all’esperienza
In fondo la cucina racchiude arte, storia e salute no?
Sull’arte ho delle riserve…conta molto di più la managerialità e l’attenzione a mantenere standard di elevata qualità. Ti faccio un esempio; negli anni al Savoia non ho mai visto lo chef cucinare, ti veniva vicino, sapeva esattamente quello che stavi facendo, denotava una conoscenza profondissima, ma le mani le teneva dietro la schiena, lo stesso dicasi per Gualtiero Marchesi. Quindi ti direi che il 90% del lavoro sta nella capacità di trasferire know how e passione alle persone che segui, la creatività è il restante 10%. In tal senso la maturazione che ho sviluppato negli anni della formazione mi ha aiutato tantissimo, una persona può essere bravissima a cucinare, altra cosa è essere uno Chef.
Quindi ufficiale, apri a maggio?
Sì, dal 5 al 10 maggio
Ci sarà il mondo…
Speriamo, quello che un po’ mi spaventa è il livello di aspettative, perché nessuno sapeva cosa sarebbe successo dopo la Locanda
Ti piace tanto Londra?
Mi sono sempre trovato bene, sono arrivato qua da un paese di mille persone, una dimensione che mi stava stretta e arrivare qui mi ha trasmesso subito un senso di libertà. Qui ho trovato un’inclusività, seppur con tutti i suoi limiti, che non ho trovato altrove nonostante le varie esperienze, tra cui a Parigi e altri luoghi che ho conosciuto…Sono arrivato qui per entrare al Savoy, pensavo che mi avrebbero dato il lavoro, ma così non è successo. Mi hanno detto di lasciare i miei dati e nel caso mi avrebbero contattato, punto. Ovviamente di tornare sui miei passi non se ne parlava
Sei veramente partito così, all’avventura?
In pratica si; avevo finito il servizio militare e non lavoravo più con la mia famiglia. Sapevo che non era facile, non solo per la lingua, che non parlavo, ma Londra era il sogno. In quegli anni non era così “vicina” come viene percepita oggi. Noi siamo stati dei veri figli dell’Europa grazie ai vari step del processo di unificazione, abbiamo visto cadere il muro nel 1989 e vissuto vari momenti storici importanti. Adesso dobbiamo assistere a Brexit e a queste nuove evoluzioni politico-sociali… Quando ho aperto lo Zafferano, circa 30 anni fa, la sera, finito di lavorare, passavo sempre davanti al vecchio ristorante di Aldo Zilli, Italian Sea Food, era sempre pieno e pensavo: “anche io voglio un ristorante così!” Aldo è stato uno dei primi a concepire il ristorante italiano a Londra in modo moderno, fino ad allora la nostra cucina era lasagne e spaghetti. Da allora c’è stata un’evoluzione pazzesca.
Su You Tube ho visto la clip con le tue sfuriate cone giudice di Master Chef sul canale italiano Sky Uno; mi sono divertito un sacco
C’è anche molta scena, una cosa che la televisione richiede
Però si capisce che ti diverti
Considera che ci sono arrivato a più di 50 anni, Locanda Locatelli andava benissimo, ho esordito come ospite… L’anno dopo mi hanno proposto di fare parte del team, ma ero già impegnato con la BBC e non riuscivo a coniugare i due impegni, quindi subito fu no, ho iniziato l’anno dopo pensando: “Proviamo”. Sinceramente non mi aspettavo un successo così clamoroso; è stata, è il caso di dirlo, una ciliegina sulla torta per la mia carriera. Ormai ero già famoso, in particolare tra gli altri Chef e il circuito della stella Michelin, e se andavo in Italia era per cose mirate. Con Master Chef è stato diverso, al di là dell’aumento di notorietà, mi ha fatto capire che grande responsabilità abbiamo. Se capita di fermarmi in Italia per il week end organizzo dei talk nelle scuole e mi accorgo di quanto, figure come la mia, influenzino i ragazzi e non solo; la televisione ha un impatto pazzesco.
Ti stanca molto questo continuo girare e tenere questi ritmi?
No, io lavoro in cucina, stare nello studio televisivo è come essere in ferie, se qualcuno del team dice sono stanco, noi che lavoriamo in cucina gli diciamo: “stanco di che? vieni a lavorare con noi in cucina”. Sai io non mi sento stanco, mi sento fortunato, sento che dobbiamo usare questa popolarità per far in modo che i giovani entrino in questo mondo con una visione diversa del lavoro del cuoco. Quando ero ragazzino e dissi a mia nonna che volevo fare il cuoco si mise a piangere: “noooo”, mi disse, “sono tutti pazzi, piuttosto fai il cameriere, almeno sei vestito bene”. Oggi invece le scuole alberghiere chiudono i corsi da cameriere e aprono quelli da cuoco. Questa visibilità ci mette nella condizione di lanciare il messaggio di quanto sia bella questa professione
Grazie alla Locanda e ai precedenti ristoranti hai seguito i clienti più importanti del mondo; a che cosa è dovuto tanto successo?
Dopo la chiacchierata con mia nonna andai a Varese con un amico per mangiare i marron glaces, camminiamo lungo il corso entro in una libreria e trovo un libro di Artusi; altra rivelazione. In quel momento ho pensato: “voglio far da mangiare italiano usando tutte le conoscenza degli otto anni”. Ho cominciato così a sviluppare le mie abilità gestionali, ad uscire dalla cucina, quasi per necessità, e questo mi ha permesso di iniziare le presentazioni deli piatti. Lavoravo dal lunedì al sabato, la domenica preparavo il menu che cambiavamo con molta frequenza. Poi è venuto lo Zafferano ecc. ecc. .. La cucina italiana ha un’adattabilità come nessuna. A fine ‘800 26 milioni di italiani se ne sono andari in giro per il mondo, è così che è nasce l’invenzione della cucina italiana. Prima era distinta per zone… Mi sto rendendo conto che chi oggi fa da mangiare in un modo che ti lascia senza parole sono in particolare coloro i quali sono nati in Italia da famiglie di emigrati, riescono ad amalgamare la cucina italiana con le cucine d’origine dei loro genitori. Questo è il futuro /presente della nostra cucina. Le altre tradizioni culinarie questa flessibilità non ce l’hanno
Vorrei chiederti del ruolo e dell’importanza di tua moglie Plaxy in tutti questi progetti
Plaxy è parte di un team di esperti con competenze complementari che abbiamo creato e Lei contribuisce tanto. Per farti un esempio, quando è nata la Locanda l’idea era quella di un ristorante italiano, invece lei è andata oltre, è riuscita a farlo diventare un ristorante internazionale. Ha lavorato molto nel mondo della musica e del giornalismo, è una persona, molto razionale ed è dotata di un grande senso di giustizia sociale. Se io alzo la voce in cucina verso qualcuno poi devo andare a dormire sul sofà. Da 20 anni parliamo del benessere del nostro personale, il nostro fa 45 ore settimanali e mangia esattamente quello che mangiamo noi. Abbiamo, è vero, un costo del 35% anziché del 20%, ma i sentimenti sono importanti. L’ho imparato a Parigi, mai umiliare le persone.
Adesso faccio una cosa che è ormai diventato il mio rituale finale; ti chiedo se c’è una domanda che ti piacerebbe sentirti fare?
La domanda che piacerebbe sentirmi fare è: tu sei felice? Perché la felicità conta un casino, essere felici è la cosa più importante. Ricordo la gioia che mi dava farmela a piedi da Soho dopo il lavoro per non pagare il biglietto, non avevo niente, e tenermi quel tanto che bastava per andare alla Patisserie Valerie a bere un the e chiacchierare con le persone.
La felicità è fondamentale e ci dimentichiamo di insegnarlo ai ragazzi. Quando vedo uno dei miei collaboratori cupo, lo chiamo in disparte e gli chiedo: “cosa c’è che non va?” La gente ti chiede quanti soldi hai, come va il lavoro; ma mai come stai! Sei felice? Ne ho visto e conosciuti tanti grande Chef che dietro una facciata di successo vivono una condizione miserabile.
Allora la domanda è: sei felice?
Sì! Della carriera, della famiglia e tutte le altre cose, nonostante i tanti ostacoli che ho, e abbiamo, dovuto superare.
Andrea Campagnolo