Per i discendenti degli emigrati italiani sarà più difficile ottenere la cittadinanza del loro Paese d’origine: saranno automaticamente cittadini solo per due generazioni. Soltanto chi ha almeno un genitore o un nonno nato in Italia sarà quindi cittadino dalla nascita. E dovra’ impegnarsi a “mantenere nel tempo legami reali con l’Italia, esercitando i diritti e i doveri del cittadino almeno una volta ogni venticinque anni”.
Il giro di vite è stato deciso lo scorso 28 marzo dal governo Meloni ed è piuttosto curioso: si limita fortemente l’accesso alla cittadinanza italiana all’estero in una fase storica che vede l’Italia in drammatica crisi demografica. Altro risvolto sorprendente: i partiti della maggioranza sono tutti a favore dello “ius sanguinis” (trasmissione di cittadinanza tramite legami di sangue) e contrari allo “ius soli” (acquisizione di cittadinanza se si nasce in Italia).
In prospettiva, e in assenza di correttivi, è chiaro: i vostri figli nati all’estero non potranno più trasmettere in automatico la cittadinanza italiana ai loro nipoti. Tre o quattro generazioni e la comunità italiana all’estero oggi ancorata all’Aire non dovrebbe esistere più.
Dando il via libera al cosiddetto “pacchetto cittadinanza” il Consiglio dei Ministri ha sottolineato che l’obiettivo è “valorizzare il legame effettivo tra l’Italia e il cittadino all’estero” e combattere “la commercializzazione dei passaporti”.
“Non verrà meno – assicura il ministro degli Affari Esteri Antonio Tajani il principio dello ius sanguinis e molti discendenti degli emigrati potranno ancora ottenere la cittadinanza italiana, ma verranno posti limiti precisi soprattutto per evitare abusi o fenomeni di “commercializzazione” dei passaporti italiani. La cittadinanza deve essere una cosa seria”.
La riforma viene attuata in due fasi: alcune norme entrano in vigore subito con decreto-legge e, successivamente, si procede a una riforma organica dei requisiti sostanziali e delle procedure in materia di cittadinanza.
Il decreto-legge prevede che gli italo-discendenti nati all’estero saranno automaticamente cittadini solo per due generazioni e solo chi ha almeno un genitore o un nonno nato in Italia sarà cittadino dalla nascita. Nella seconda fase, con un primo disegno di legge, si introducono ulteriori e più approfondite modifiche sostanziali alla legge sulla cittadinanza. Si impone innanzitutto ai cittadini nati e residenti all’estero di mantenere nel tempo “legami reali” con il nostro Paese, esercitando i diritti e i doveri del cittadino almeno una volta ogni venticinque anni.
La riforma è completata da un secondo disegno di legge che rivede anche le procedure per il riconoscimento della cittadinanza. I residenti all’estero non si rivolgeranno più ai consolati, ma ad un ufficio speciale centralizzato al ministero degli Esteri. Ci sarà un periodo transitorio di un anno circa per l’organizzazione dell’ufficio. L’intento è rendere più efficienti le procedure, con economie di scala evidenti. I consolati dovranno concentrarsi sull’erogazione dei servizi a chi è già cittadino e non più a “creare” nuovi cittadini.
A detta del governo Meloni la necessità della riforma nasce dal fatto che i Paesi di maggiore emigrazione italiana hanno avuto negli ultimi anni un forte incremento di riconoscimenti della cittadinanza. Dalla fine del 2014 alla fine del 2024 i cittadini residenti all’estero sono aumentati da circa 4,6 milioni a 6,4 milioni: un aumento del 40% in 10 anni. I procedimenti giudiziari pendenti per l’accertamento della cittadinanza sono oltre 60.000.
Ad esempio, l’Argentina è passata dai circa 20.000 del 2023 a 30.000 riconoscimenti già l’anno successivo. Il Brasile è passato da oltre 14.000 nel 2022 a 20.000 lo scorso anno. Il Venezuela contava quasi 8.000 riconoscimenti nel 2023. Gli oriundi italiani nel mondo che potrebbero chiedere il riconoscimento della cittadinanza con la legge vigente sono potenzialmente tra i 60 e gli 80 milioni.
La riforma “libererà risorse per rendere i servizi consolari più efficienti, nella misura in cui questi potranno dedicarsi in via esclusiva a chi ne ha una reale necessità, in virtù del suo concreto legame con l’Italia”. Il sistema attuale si ripercuote infatti sull’efficienza degli uffici amministrativi o giudiziari italiani, messi sotto pressione da chi si reca in Italia solo nel tentativo di accelerare l’iter del riconoscimento della cittadinanza, alimentando anche frodi o pratiche scorrette.
Il “pacchetto cittadinanza” è stato condannato senza mezzi termini dalla principale forza di opposizione, il PD. “Ancora una volta – ha tuonato Luciano Vecchi, Responsabile per gli italiani nel mondo del Partito Democratico – il governo Meloni si scaglia contro gli italiani all’estero e gli italo discendenti, trattandoli da malviventi”.
“Dopo la quasi eliminazione delle risorse per la partecipazione e la rappresentanza, il non adeguamento delle pensioni ai residenti all’estero, la riduzione delle tutele per chi decide di rientrare in Italia, il taglio di risorse alla rete consolare, arriva ora l’annuncio di una modifica, per decreto e senza nessuna consultazione né del Parlamento né degli organi di rappresentanza degli italiani nel mondo, delle norme sul riacquisto della cittadinanza italiana”, accusa Vecchi che sostiene: “ Non sono in gioco solo i diritti dei cittadini italiani ma anche l’interesse strategico del nostro Paese a valorizzare (cosa che questo Governo non fa) le comunità italiane nel Mondo”.
LaRedazione