
Da quando il 5 agosto 2013 durante una conferenza-stampa a Londra fu fritta in prima mondiale carne coltivata sotto forma di hamburger (la vedete nella foto di accompagno) la diatriba imperversa e l’Italia è stato il primo Paese in assoluto a proibirne per legge produzione e vendita.
Questo divieto, decretato dal governo Meloni nel novembre 2023 e contestato dall’Unione Europea perché fuori delle competenze nazionali, ha portato adesso ad una levata di scudi da parte di un gruppo di ricercatori universitari della Penisola che propongono di “studiare il tema” impostando “una riflessione” che possa contribuire a “intraprendere percorsi di valutazione ragionati, fondati su evidenza scientifica e caratterizzati da un approccio interdisciplinare”. Insomma, prima studiare e poi (eventualmente) proibire. Non dimenticando che la produzione di un sostituto della carne salverebbe dal macello masse sterminate di animali e aiuterebbe la vivibilità della Terra.
I ricercatori e le ricercatrici – in tutto 19 – lavorano al Politecnico di Torino, alle Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, agli atenei di Torino, di Roma Tor Vergata e Trento, al Good Food Institute Europe e all’Istituto di scienze delle produzioni alimentari e hanno unito le forze per la promozione di un approccio che dia libero campo alla ricerca scientifica per verificare se siano plausibili la sostenibilità e la praticabilità della cosiddetta “agricoltura cellulare” e lasciare poi alle parti politiche le decisioni in materia di policy.
Questa presa di posizione ha portato all’ elaborato di dieci spunti riportati in una nota pubblicata sulla rivista scientifica “One Earth”.
L’attenzione si è concentrata in primo luogo sulla libertà della ricerca, necessaria all’innovazione. Come garanzia della libertà serve un uso corretto del linguaggio per riferirsi al tema: termini quali “coltivato” o “carne coltivata” – che riportano all’origine biologica delle cellule e al metodo di produzione – non sono equivalenti a “artificiale” o “carne sintetica”.
Altrettanto fondamentale è la salvaguardia dell’integrità delle informazioni trasmesse: il discorso pubblico deve infatti diffidare di tutte quelle scorciatoie linguistico-concettuali usate per descrivere i prodotti dell’agricoltura cellulare e che rischiano di compromettere la capacità degli individui di formarsi una propria opinione sulla base dei dati. L’agricoltura cellulare ha un potenziale importante, in un mondo che si trova oggi ad affrontare sfide alimentari e ambientali non più rimandabili, con la previsione di una crescita della popolazione che raggiungerà tra i 9 e gli 11 miliardi entro il 2050. Ed è pertanto “irresponsabile” a giudizio dei ricercatori minare la fiducia dei consumatori nella valutazione dei nuovi alimenti, mettendo in discussione le autorità competenti in materia, qual è l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA).
Nel testo si evidenzia quindi l’importanza di fornire consistente sostegno alla ricerca pubblica allo scopo di mitigare i rischi di iniquità associati ai brevetti privati e ai potenziali monopoli. Non manca nemmeno un riferimento alla libertà individuale nelle scelte alimentari: una volta appurata la sicurezza e approvata la produzione, la libertà di compiere scelte alimentari non deve essere infatti limitata da alcuna maggioranza ma lasciata al singolo.
“Negli ultimi anni, in diversi paesi è emersa – commentano Alessandro Bertero, Michele Antonio Fino e Diana Massai, tre dei ricercatori coinvolti – una linea politica contraria alla carne coltivata non fondata sui risultati di una ricerca scientifica compiuta La situazione creatasi in Italia, con la conseguente crisi di conoscenza acuita da decisioni politiche basate su informazioni come minimo incomplete, ha ispirato la nascita di un collettivo di ricerca fortemente interdisciplinare… l’Italia ha la responsabilità di contribuire in modo attivo e consapevole al progresso della conoscenza, prima che venga svolta qualsiasi valutazione su tecnologie capaci di influire sul futuro alimentare globale”.
LaRedazione