SALUTE O LAVORO? L’AMLETICO DILEMMA DELLA PANDEMIA

SALUTE O LAVORO? L’AMLETICO DILEMMA DELLA PANDEMIA

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Va salvata ogni vita umana, costi quel che costi, anche se si tratta di ultraottantenni? Oppure bisogna difendere il lavoro e l’economia sacrificando eventualmente i più vecchi?

Ormai da mesi questi interrogativi serpeggiano sotto traccia un po’ ovunque – sui media, nei talk show politici, nella testa della gente – quando si discute sulle migliori strategie anti-pandemia.

Tenendo conto che bisogna “convivere con il virus” fino a quando non arriva un vaccino, sul “Financial Times” un economista ha persino proposto un brutale sistema di calcolo per bilanciare salute pubblica ed economia: si da’ un valore commerciale ad una vita umana (ad esempio 60.000 sterline), si quantifica il danno per l’economia e il numero di vite salvate se si prendono certe misure anti-covid e si confrontano i due costi con un ragionamento di questo tipo: se impongo certe restrizioni  salvo vite umane per un totale di 100 milioni di sterline mentre l’economia ne soffre per 200 milioni di sterline e quindi….

Ovviamente molti trovano orrendo questo modo di computare e procedere ma va dato atto al “Financial Times” di avere ospitato una proposta spietatamente concreta su come bilanciare salute e lavoro, due fattori che tendenzialmente fanno a pugni l’uno con l’altro.

L’amletico dilemma salute o lavoro ha assunto un po’ ovunque nel mondo connotazioni politiche, con le forze di sinistra tendenzialmente più schierate a difesa della salute e quelle di destra a difesa dell’economia. E’ successo anche alle presidenziali americane del 3 novembre scorso: per gli elettori che hanno votato il candidato democratico Joe Biden la priorità era la lotta contro la pandemia, per quelli a favore del presidente repubblicano uscente Donald Trump la priorità era invece l’economia.

Non si tratta ad ogni modo di un contrasto solo o soprattutto ideologico: in generale sono per la salute a tutti i costi le categorie più garantite (i dipendenti pubblici ad esempio) che ricevono il salario anche in tempi di lockdown mentre sventolano la bandiera dell’economia uber alles quelli che a causa della pandemia sono rimasti senza lavoro e senza stipendio. Anche in Italia lo scontro e’ chiaro e lampante e ai primi di novembre in parlamento l’economista anti-euro Claudio Borghi, deputato di spicco nel principale partito di destra (Lega), ha contestato il presidente del Consiglio Giuseppe Conte per aver messo la salute davanti al lavoro.

“Come si permette – così Borghi si è rivolto a Conte – di fare una scaletta dei valori costituzionali? Se guardiamo gli articoli la salute è al trentaduesimo posto, il diritto al lavoro invece è al quarto. E l’articolo 1 dice che l’Italia è una repubblica fondata sul lavoro, non sulla salute o sui decreti del Presidente del Consiglio. Riportiamo tutto all’ordine costituzionale perché la situazione è grave”.

Andrea Orlando, vicesegretario del partito democratico (PD), al governo assieme ai grillini del Movimento Cinque Stelle, ha subito replicato in un tweet che le parole di Borghi spiegano come mai in Italia “sino a qui non ci sia stata collaborazione tra maggioranza e opposizione”.

Ancora più esplosivo a livello dei talk show è stato negli stessi giorni un tweet del governatore della Liguria Giovanni Toti con l’insistenza sul tasto che a morire di coronavirus sono “persone per lo più in pensione, non indispensabili allo sforzo produttivo del Paese”.  

Toti si è poi scusato per il “maldestro” tweet che sembra dividere la popolazione tra indispensabili e non indispensabili e ha spiegato di essere a favore di una strategia anti-covid basata sul confinamento a casa delle persone molto anziane e di quelle più vulnerabili così da permettere alle generazioni più giovani di vivere normalmente e andare avanti nello sforzo produttivo senza troppe restrizioni.

A dispetto della parziale retromarcia la frittata era però fatta e Toti è stato bersagliato da feroci critiche. Gli hanno ricordato che con la sua strategia andrebbero messi sotto chiave per l’età avanzata il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, Trump e Biden, l’architetto genovese Renzo Piano e moltissime altre personalità di primo piano.

Il problema però esiste ed è trapelato che il presidente francese Emmanuel Macron ha accarezzato l’idea di chiudere in casa vecchi e anziani rendendosi però  conto che si tratta di un progetto estremamente difficile sotto il profilo logistico:  in Francia si tratterebbe di isolare almeno dai 18 ai 20 milioni di essere umani.

Rimane il fatto che senza drastiche misure anti-Covid gli ospedali di quasi tutta l’Europa rischiano di andare in tilt per un’incontenibile valanga di pazienti contagiati con sintomi di polmonite. E allora che fare?  Che fare se ad un certo punto non ci sono abbastanza letti in terapia intensiva per tutti i malati gravi di Covid? 

 L’Accademia Svizzera delle Scienze Mediche e della Società Svizzera di Medicina Intensiva ha già emesso una direttiva in cui si dice che in caso di scarsità di letti non vanno curati i pazienti di questo tipo:  “Età superiore a 85 anni o età superiore a 75 anni se accompagnata da almeno uno dei seguenti criteri: cirrosi epatica, insufficienza renale cronica stadio III, insufficienza cardiaca di classe NYHA superiore a 1 e sopravvivenza stimata a meno di 24 mesi”. Anche la “demenza grave” e altre malattie incurabili potrebbero bloccare in Svizzera l’accesso alle cure.

La redazione