SMART WORKING? È IL CONTRARIO DI ROBIN HOOD

SMART WORKING? È IL CONTRARIO DI ROBIN HOOD

E METTE IN CRISI BAR E RISTORANTI

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Quali sono i potenziali effetti dello smart working sulla distribuzione del reddito? Da uno studio curato dall’INAPP, Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche, emerge che attualmente in Italia, per come è praticato, il telelavoro tende ad avvantaggiare i lavoratori con un reddito alto, in prevalenza uomini, accentuando così le disuguaglianze sociali.

Coloro che svolgono lavori caratterizzati da un’alta attitudine al lavoro da remoto hanno infatti un salario annuo più alto in media del 10% rispetto ai lavoratori con una bassa propensione allo smart working, che raggiunge il 17% tra i lavoratori con i redditi più alti.

Insomma, in una ipotetica foresta di Sherwood lo smart working è come un Robin Hood al contrario, favorirebbe i ricchi e danneggerebbe i più deboli, almeno dal punto di vista del reddito.

Sono questi alcuni dei risultati messi in evidenza dal Policy brief “Gli effetti indesiderabili dello smart-working sulla disuguaglianza dei redditi in Italia”. Uno studio che utilizza una banca dati unica, creata dall’unione di due indagini, entrambe condotte dall’INAPP: l’indagine PLUS (Participation, Labour, Unemployment, Survey) con un bacino di 45.000 individui in età lavorativa (18-74 anni) e l’Indagine Campionaria sulle Professioni (ICP) che raggruppa le 800 occupazioni italiane.

Non basta: in Italia lo smart-working causa anche una riduzione dei consumi presso pubblici esercizi e ristoranti quantificabile in circa 250 milioni di euro al mese. Questo dato si aggiunge a quello dovuto alla mancata spesa turistica, per cui possiamo quantificare in circa il 35% in meno il fatturato complessivo che ancora manca alle imprese del settore. A stimarlo è Confesercenti.

Secondo i dati diffusi dal Ministero del Lavoro, al momento attuale sono 1,6 milioni i lavoratori della Penisola che prestano la loro opera in smart working a seguito delle norme sull’emergenza sanitaria. Un numero otto volte superiore rispetto alla realtà prima della diffusione del virus, quando le persone in smart working erano circa 220mila.

La possibilità del lavoro a distanza ha ovviamente svolto un ruolo cruciale nel pie- gare la curva dell’epidemia. Nei modi in cui si va configurando, però, la transizione verso il lavoro a distanza sta determinando elevati costi sociali, che devono essere opportunamente gestiti dalla politica economica.

Dirompente, per la sua subitanea diffusione, è l’impatto che il lavoro a distanza sta avendo sul tessuto commerciale dei luoghi dove prima si concentrava lo svolgimento delle attività lavorative. “Occorre un approccio ‘laico’ al tema smart-working, senza demonizzarlo ma avendo allo stesso tempo ben chiari i possibili effetti collaterali sul tessuto imprenditoriale e anche sui lavoratori”, ha indicato Giancarlo Banchieri, Presidente di Fiepet, l’associazione che riunisce i pubblici esercizi e le imprese affiliate a Confesercenti. “Il lavoro agile è una rivoluzione che deve essere gestita. Servono urgentemente sostegni per le imprese del settore della somministrazione, dalla proroga della cassa integrazione in deroga ad una riparametrazione dei contributi a fondo perduto, che ad ora considerano solo il calo dei fatturati di aprile. Ma occorre anche dare un orizzonte temporale certo al lavoro agile. Il rischio è che in autunno migliaia di attività gettino la spugna e abbassino definitivamente la saracinesca”.