Theresa May: habemus accordo sulla Brexit!

Theresa May: habemus accordo sulla Brexit!

Ma davvero reggerà? Tanti i dubbi

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Rallegrarsi o dispiacersi? Per gli italiani e gli altri europei residenti in Uk è difficile una netta presa di posizione sul controverso accordo di divorzio dall’Unione Europea che la premier britannica Theresa May ha annunciato il 13 novembre scorso con un sospiro di sollievo.

L’intesa – condensata in un documento di 585 pagine – ha di positivo che sancisce in modo definitivo i diritti degli europei già installati nel Regno Unito per quanto riguarda residenza, accesso alla sanità e tutto il resto.

Il risvolto negativo è che, pur soft, la Brexit diventa ineluttabile e nulla sarà più come prima. La Manica funzionerà di nuovo da muro-frontiera a tutti gli effetti e gli europei interessati in futuro a stabilirsi nel Regno Unito non avranno corsie preferenziali rispetto ad asiatici, americani o africani.

Sui diritti degli europei residenti in Uk e sui risvolti pecuniari del divorzio Londra e Bruxelles avevano gia’ trovato la quadra nel dicembre 2017 ma per una vera e propria fumata bianca ci sono voluti altri undici mesi a causa del rompicapo della frontiera tra le due Irlande, un problema del tutto sorvolato – ed è paradossale – durante la campagna per il referendum del giugno 2016 vinto dai fautori della Brexit. Tutti d’accordo a evitare controlli doganali al confine che potrebbero riaccendere la guerra civile strisciante in Ulster tra cattolici e protestanti. Ma come farlo in concreto?

Il complicato compromesso distillato a fatica prevede che la Gran Bretagna post-Brexit rimanga nell’unione doganale europea fino a quando non sarà possibile tenere sott’occhio con qualche diavoleria high tech la frontiera tra la repubblica d’Irlanda e la provincia britannica nordirlandese evitando così rallentamenti e ostacoli per auto, camion e Tir. Malgrado sia molto diversa dalla Brexit dura che propugnava nel primo semestre 2017, Theresa May ha cercato di vendere l’intesa (incentrata soltanto sui termini del divorzio e non sui futuri rapporti commerciali con il Continente che saranno oggetto di ulteriori trattative) come la migliore realisticamente possibile a difesa degli “interessi nazionali” e ne ha decantato i vantaggi: ad esempio la fine dell’immigrazione facile dall’Europa. È stata però subito attaccata con ferocia dai “brexiteers” alla Boris Johnson e dai “remainers” in crescente pressing affinché’ si eviti il suicidio e si resti nell’Unione europea.

I Brexiters hanno tuonato a più non posso (“È una capitolazione”, “Un’umiliazione”, “Ci ridurremo a vassalli dell’Unione europea”, “cadiamo in schiavitu’”), denunciato il “tradimento” del resultato referendario del giugno 2016 e avvertito che l’Ulster rischia di rimanere nell’orbita dell’Ue con effetti disgregatori per la Gran Bretagna. I “remainers” vedono invece nell’intesa un pasticciaccio che farà soltanto del male all’economia del Paese.

Pur con qualche defezione importante, incominciando dalle paradossali dimissioni del ministro alla Brexit Dominic Raab (ma non doveva essere lui a negoziare l’accordo che adesso gli fa schifo?), Theresa May è riuscita a farsi approvare l’intesa dal Consiglio dei ministri aprendo così la via alla ratifica ufficiale dell’Ue nel corso di un summit europeo messo in calendario per il 25 novembre. Ma ce la farà a strappare il sì della Camera dei Comuni prima di Natale e ad evitare così il naufragio suo e del suo piano? E riuscirà a mangiare il pudding natalizio al numero 10 di Downing Street?

Sulla carta il corposo documento sui termini del divorzio dall’Ue ha scarse possibilità di strappare la luce verde del parlamento: i deputati del partito protestante nordirlandese Dup – puntello cruciale per il governo conservatore – hanno già mostrato il pollice verde. Poi c’è la ribellione dei parlamentari favorevoli alla Brexit dura che vogliono tagliare tutti o quasi tutti i i ponti con l’Ue. Insomma, la povera Theresa una maggioranza sembra proprio non avercela e non potrà contare sull’opposizione laburista con a capo Jeremy Corbyn il rosso che spera di andare a elezioni anticipate e di vincerle.

Gli italiani e gli altri europei residenti in Uk fanno quindi bene a trattenere
il fiato: può ancora succedere di tutto. Incominciando dalla defenestrazione dell’attuale primo ministro per mano della fazione più euroscettica dello suo stesso partito.

Se l’accordo viene brutalmente cestinato dai Comuni le sfumature di grigio e di nero possono essere tante (si potrebbero ad esempio riaprire i negoziati con Bruxelles) ma sostanzialmente si spalancano due strade opposte e non è affatto chiaro quale sarà imboccata: il Regno Unito potrebbe uscire dall’Ue alla data limite – il 29 marzo 2019 – senza lo straccio di un’intesa (il famigerato scenario “no deal” che potrebbe mettere in ginocchio il Paese provocando addirittura penurie di cibo e di medicinali) oppure non è escluso un secondo referendum sulla Brexit che con ogni probabilità sarebbe vinto stavolta dai “remainers”. Le scommesse sono partite….

LaR