Brexit, pelati e prosecco: i rischi per l’Italia

Brexit, pelati e prosecco: i rischi per l’Italia

Ne potrebbe soffrire l'export agroalimentare

904
SHARE

L’Italia non ha certo da guadagnarci dalla Brexit: con un valore superiore ai 3 miliardi di euro all’anno, il Regno Unito rappresenta il quarto mercato per l’export agroalimentare della Penisola  e addirittura  il primo per Prosecco (su 10 bottiglie esportate 4 fi niscono oltre Manica) , pelati e polpe di pomodoro.   Svalutazione della sterlina e tutela delle indicazioni geografi che rappresentano le grandi incognite collegate alla Brexit, alla luce della “sensibilità” delle nostre esportazioni al tasso di cambio e del fatto che quasi un terzo delle vendite di food&beverage “Made in Italy” sul mercato britannico riguardano prodotti Dop/Igp.

A sei mesi dalla data uffi ciale del divorzio del Regno Unito dall’Unione Europea (29 marzo 2019) e ancora in mancanza di un accordo sulle modalità di uscita, al III Forum Agrifood Monitor di Nomisma e Crif si è fatto il punto sul ruolo che questo mercato detiene per il nostro sistema agroalimentare e sui rischi collegati ai potenziali effetti della Brexit.

Con un valore vicino ai 56 miliardi di euro, il Regno Unito rappresenta il sesto mercato al mondo per import di prodotti agroalimentari e il secondo per consumi a livello europeo (250 miliardi di euro nel 2017). L’autosuffi cienza alimentare non supera infatti il 50% e per tale motivo dipende moltissimo dalle importazioni, in particolare degli (ancora) partner europei.

Proprio da questi Paesi Ue arriva il 70% delle importazioni alimentari e l’Italia risulta il sesto fornitore, con una quota a valore vicina al 6% dell’import britannico.

Vista dall’altra sponda, la Gran Bretagna si confi gura come il nostro quarto mercato di export alimentare più importante, dopo Germania, Francia e Stati Uniti. Un mercato che nell’ultimo decennio ha aumentato i propri acquisti di prodotti del “Made in Italy” del 43%, ben più di quanto fatto nei confronti dei concorrenti francesi o olandesi, ma meno rispetto a quelli spagnoli o tedeschi (+55%).

Nei mesi successivi alla dichiarazione di uscita dall’Ue sancita con il referendum e con una sterlina svalutata di oltre il 10% rispetto all’euro, i tassi di crescita delle nostre vendite sul mercato britannico si sono ridotti per poi riprendersi nei primi sette mesi del 2018, quando l’import di prodotti alimentari dal nostro paese ha registrato un quasi +3% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.

Tuttavia, se dal dato dell’export agroalimentare complessivo si passa a considerare quello delle singole produzioni, la rilevanza del Regno Unito assume ben altri contorni.

“I casi di prodotti fortemente legati agli acquisti dal Regno Unito sono numerosi. Basti pensare al Prosecco, per il quale la Gran Bretagna assorbe circa il 40% di tutto l’export, oppure ai pelati e alle polpe di pomodoro per le quali l’incidenza di questo mercato arriva al 20%”, ha indicato Denis Pantini, responsabile dell’Area Agroalimentare di Nomisma. Tra i prodotti che vantano valori di esportazione più contenuti (sotto i 100 milioni di euro in questo mercato) vanno poi segnalati anche le zuppe pronte e i fagioli in scatoli per i quali UK assorbe circa un terzo del relativo export.

Anche i formaggi grana Dop (Parmigiano Reggiano e Grana Padano) contano sul Regno Unito per il 9% delle proprie vendite oltre frontiera.

LaR