Checco Zalone a Londra

Checco Zalone a Londra

“dopo tanto buio nordico,finalmente la luce del Sud”

1999
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Intimidito dalla platea, per la verità poco inglese, che lo ha accolto a Londra, Luca Medici, più conosciuto come Checco Zalone, è stato di poche parole a margine della proiezione del suo ultimo film, “Quo Vado?”, record d’incassi e di pubblico in Italia, presentato al cinema Genesis lo scorso 15 Aprile.
Ma un piccolo indizio sulla lettura della sua ultima fatica, a modo suo, l’ha data: “Noi italiani siamo campioni nel gettarci merda addosso. In realtà, qualche pregio ce l’abbiamo”.

L’intenzione della pellicola, chiarisce una volta per tutte, non era certamente questa. Ed il suo “messaggio”, dunque, non si limita alla presa in giro dell’italiano medio, fin troppo legato al posto fisso, mammone, poco incline all’indipendenza, “statalista interessato” perché un po’ parassita, decisamente bigotto e conservatore nel modo di pensare.
Abbiamo l’educazione”, afferma candidamente Luca Medici, che nel film, stanco del “legalismo” freddo dei norvegesi, comincia a sentire la mancanza del suo paese e finisce ad immaginare aurore boreali tricolori, impazzando col clacson per le strade appena incontra un italiano, per dimenticare l’eccessivo formalismo nordico.

Checco Zalone, ovviamente con ironia, ci parla della nostra identità. Per andare poi oltre e cambiare piano sul finale. Ed è per questo che, spiega, per lui educazione, concetto che ritorna spesso nel film, è “buon senso”; un modo di essere, sicuramente a rischio (clientelismo, familismo e così via), ma che riflette l’essere ancora comunità, nonché il retaggio culturale di un mondo “antico” del quale non tutto è da buttare.
Checco Zalone non rimpiange il posto fisso ma il senso di comunità. La sua “satira” nei confronti dell’italianità è reale, sa benissimo che c’è tanto su cui intervenire, ma in qualche modo, ad un certo punto, sembra voler dire: siamo sicuri che tutti i nostri difetti non nascondano, però, il pregio di una società che resta ancorata ai rapporti tra le persone e che, in fondo, non è poi così male? Siamo sicuri di non essere avvantaggiati a poter ripartire da qui? La conferma, del resto, è nel finale.
Checco, tornato in patria, ritorna alla realtà di un paese fermo, privo di coraggio e di orizzonti, conservatore nel senso peggiore del termine, poiché ad essere conservate sono le abitudini peggiori. Ha trovato nel nord Europa la “civiltà”, ma ha scoperto che essere “incivile” non è poi così male.

Finisse qui, però, il film sfiorerebbe la banalità. Invece va oltre. E sfugge così a quello che, per Christian Raimo dell’Internazionale, è il rischio “di trasformare la sua bonarietà in un’indulgenza plenaria”. Cambia il piano, come dicevamo, e prende le distanze dai difetti nordici quanto italici, tornando ad un piano “verticale” quasi simbolicamente rappresentato nella prima inquadratura che, dall’alto, scende fino ad un piccolo villaggio africano dove Checco è alle prese con “la storia della sua anima”.

Accantonato un piano orizzontale del quale finisce per esserne allontanato dagli eccessi su entrambi i fronti, è questo il piano che torna sul finale. E, abbandonato finalmente il posto fisso, sembra rilanciare l’idea di un’italianità pura che, oltre al senso di comunità, riacquista anche il valore del rischio e del coraggio contro ogni appiattimento borghese e del dono di sé contro ogni individualismo materialista. E’ un messaggio che, dopo aver sfiorato la satira politica, si sposta ora sul piano esistenziale.

“Ognuno ha un talento, tu cosa vuoi fare da grande?”, chiedeva il maestro in apertura al piccolo Checco. Lui, impregnato di cultura piccolo borghese, rispondeva: “Io voglio fare il posto fisso”.
In chiusura, invece, il recupero dell’identità passa per un distacco che, nonostante il rifiuto di disconoscere le proprie radici, giunge alla presa di distanza nei confronti di una politica interessata soltanto a mantenere lo “status quo”, incatenando ed imprigionando prima di tutto l’animo umano.

Il film di Luca Medici ha il pregio di dire tutto questo e, allo stesso tempo, far ridere di gusto, con semplicità ed eleganza, risparmiandoci il trash da cine-panettone con il quale non ha nulla a che fare e costruendo una struttura che è “comica” di per sé e non deve la sua riuscita a qualche buona trovata qua e là. Ed è questo che ne fa un’ottima commedia.
Ottantasei minuti in cui Checco Zalone non risparmia nessuno, mettendo a confronto due modelli e prendendoli (e prendendoci) in giro allo stesso modo. L’italiano medio quanto il radical chic, gli stereotipi conservatori, bigotti ed il parassitismo simildemocristiano da Prima Repubblica quanto il legalismo sfrenato, multiculturale ed egualitario fino al paradosso.
Dopo tanto buio nordico, finalmente la luce del Sud: Zalone dixit. Noi sottoscriviamo.

 

Emmanuel Raffaele